Ancora tasse. E’ il refrain di moda adesso. Il governo, da una parte, propone una stretta sulle cooperative; il capo dell’opposizione, Pierluigi Bersani, dall’altra suggerisce di far pagare l’Ici agli enti ecclesiastici che svolgono attività commerciale. Un’idea balzana, quest’ultima: «Bersani dimostra di non conoscere la legislazione fiscale in merito, dato che gli enti ecclesiastici che svolgono prevalentemente attività commerciale pagano già l’Ici» commenta Stefano Zamagni interpellato da ilSussidiario.net. Anche per quanto riguarda le coop, in realtà, non si tratterebbe di una pratica inedita. Né vantaggiosa. Dal 2002, si decise che le esenzioni fiscali avrebbero riguardato unicamente gli utili delle cooperative sociali. Il cerchio si restrinse ulteriormente nel 2004. Allora venne stabilito che, per le coop con maggiori analogie ad una normale azienda (quelle a mutualità non prevalente), le esenzioni fiscali sul reddito d’impresa riguardassero unicamente il 30 per cento degli utili e che sul rimanente potessero essere applicate le consuete imposte. Per quanto riguarda, invece, le altre cooperative, la parte non tassabile corrisponde al 70 per cento del profitto. L’ipotesi, anche se al momento non sono disponibili i dettagli, è in sintesi quella di aumentare il carico fiscale. «La proposta di cui abbiamo notizia e che si aggiunge a quelle ventilate nei giorni scorsi – spiega Zamagni – si inserisce in un quadro generale di atteggiamento miope e di scarsa cultura economica». Si dimostra miope perché «guarda all’effetto immediato, quello di fare cassa senza porsi il problema del dopo. Un po’ come quando un famiglia vende l’argenteria per pagare i debiti, ma rimane senza nulla». Rileva, invece, scarsa cultura economica «perché non tiene conto di una teoria che tutti gli economisti del mondo conoscono: quella del full costing e del full price». La teoria è di facile comprensione: «quando si valuta un qualche provvedimento in materia fiscale bisogna tenere conto non solo delle conseguenze dirette ma anche di quelle indirette. Le seconde potrebbero prevalere sulle prime, rendendo il bilancio negativo». Eppure, il vantaggio fiscale è evidente. Meno evidente è quello generato dalle cooperative. «Tassandole – precisa Zamagni – si va a decretare la scomparsa o la riduzione di una forma di impresa che genera esternalità positive almeno dieci volte superiori ai benefici fiscali di cui gode». In sostanza: «lo stato fa risparmiare uno, ma la cooperativa rende dieci, in termini di coesione sociale, di capitale sociale e di creazione di posti di lavoro».
E in effetti, i posti di lavoro in seno a questo mondo, sono aumentati in due anni del 5,5%. «Non solo: nel corso della crisi, inoltre, le cooperative sono state le uniche imprese che non hanno licenziato e non hanno delocalizzato». Ecco perché, quindi, «tassarle dà una boccata d’ossigeno per un anno o due, ma infligge alla Stato italiano un danno enorme». Tornando, invece, alla sortita di Bersani, Zamagni mostra di avere le idee decisamente più chiare del segretario democratico: «le leggi – una delle quali l’ho elaborata io stesso – prevedono che le attività commerciali del non profit vadano tassate. Sarebbe stato sufficiente leggersi le linee guida dell’Agenzia nazionale per il terzo settore per saperlo». Nel dettaglio, si pagano le tasse se l’attività commerciale è dominante, ovvero se, ad esempio, nel caso di una clinica o di una scuola, superi il 20-25% del ricavato». E se l’attività commerciale è prevalente, il soggetto che la opera «paga anche l’Ici. E’ sbagliato, quindi, dire che gli enti ecclesiastici che producano profitti non pagano l’imposta sugli immobili. Bersani, probabilmente, avrebbe dovuto spiegarsi meglio. E dire, piuttosto, se vuole che quella sorta di “franchigia” entro la quale l’attività commerciale non è riconosciuta come principale venga abbattuta del tutto».