A detta di un buon numero di commentatori, media, “esperti”, il dopo Fukushima pare già delineato, anche se la situazione in Giappone è ancora da risolvere, non solo per l’emergenza nucleare non ancora conclusa, ma soprattutto per le difficoltà e gli impegni per la ricostruzione post terremoto e post tsunami. Quali dunque le prospettive per l’Italia, l’Europa, il mondo? In breve: nucleare sulla via del tramonto, una grande alba per le rinnovabili, conferma del ruolo centrale per il gas.
È assai probabile però che questa sia una visione troppo locale. E non tenga nel debito conto una serie di domande che dovrebbero accompagnare sempre una discussione seria sul tema dell’energia. La realtà è un po’ più complessa, soprattutto se guardiamo anche oltre le Alpi o dall’altro capo del globo.
Per l’Italia la prospettiva pare essere quella prima delineata: no al nucleare, per la paura di ciò che potrebbe accadere (non è il caso qui di aggiungere commenti sulle cause, le colpe, i motivi di una decisione a colpi di referendum), e sì ad un grande sviluppo delle rinnovabili. Ma già qualcuno, a capo della più grande e strategica azienda energetica italiana e che non crede moltissimo alla competitività delle rinnovabili, ha pronosticato per il gas un peso ancora maggiore di quanto non sia oggi (già ben oltre la metà dei fabbisogni, nel paniere italico).
Per l’Europa, da una parte la conferma del ruolo del nucleare (Francia) o addirittura il suo rilancio (Regno Unito, Polonia, Paesi Baltici, Slovacchia e qualche altra nazione del centro-est Europa, con la Svezia che conferma il passo indietro circa l’abbandono dell’energia atomica), dall’altra la decisione di Germania e Svizzera di uscire dal nucleare, pur in tempi medio-lunghi (2022 e 2034, rispettivamente). Con il ruolo di carbone e gas a farla ancora da padroni, nelle prospettive di utilizzo delle fonti fossili (e con un nuovo gasdotto, Nabucco, che promette notevoli quantità di gas russo al centro-nord Europa, in concorrenza con il gasdotto South Stream supportato dall’Italia). Con le rinnovabili ad integrare decisamente il paniere, in alcuni casi anzi a sopravanzare le stesse fonti fossili, come preannunciato dalla Germania (80% da rinnovabili entro il 2050).
Se guardiamo poi al resto del mondo, in particolare a Usa e Bric (Brasile, Russia, India e Cina, ovvero le nuove potenze mondiali, soprattutto l’ultima) scorgiamo certamente una maggiore attenzione ai problemi ambientali rispetto al passato e quindi anche alle energie rinnovabili, ma non troviamo la stessa enfasi e gli stessi programmi ambiziosi proposti nel vecchio continente. Il nucleare continua a svolgere un ruolo importante nel settore elettrico, anche non considerando i programmi cinesi di oltre 200 nuovi reattori al 2050 (oggi ne hanno in costruzione 25). Il gas sta vivendo un periodo particolarmente favorevole, soprattutto in Usa dove lo sfruttamento dello shale gas (il gas estratto dalle rocce porose nelle profondità della terra) ha portato un abbassamento dei prezzi e un aumentato delle riserve. Almeno sino a quando non saranno emersi con ancora più vigore i dubbi circa le tecniche di estrazione (impiego di solventi chimici iniettati nel terreno) e le loro compatibilità ambientali. Il carbone, infine, mantiene il suo forte peso ed interesse per via del basso costo di produzione dell’energia elettrica che esso può garantire. Impossibile che la Cina possa farne a meno a causa dei rischi ambientali.
Per il Giappone, infine, si è aperta una fase di riflessione che potrebbe portare a rivedere la politica di crescita del nucleare, invertendo il trend a favore delle rinnovabili. Ma il Giappone, come noi, non ha fonti energetiche domestiche, e deve garantire il funzionamento di una economia produttiva che ci sta ancora abbondantemente avanti, con costi energetici che consentano di mantenere la competitività. Sarà quindi ben più difficile abbandonare l’opzione atomica.
Per l’Italia, l’Europa, il mondo, rimangono comunque diversi punti aperti, sia nel breve che nel lungo termine. Riuscirà l’Italia a dotarsi di una strategia energetica, facendo decisamente (e finalmente?) politica in questo settore? Come faremo a rientrare nella media europea di costo dell’elettricità, senza nucleare e praticamente senza carbone (si vedano le enormi difficoltà che anche quest’ultima fonte sta avendo nel nostro Paese, nonostante i lavoratori in canottiera di Porto Tolle)? Quale peso avranno le rinnovabili? Quali vincoli virtuosi per il loro sviluppo e quali costi? Dipenderemo sempre di più dal gas? E qual è il livello accettabile di rischio di dipendenza energetica che il Paese è giusto si accolli?
Riuscirà veramente la Germania a realizzare il piano energetico “etico” della Merkel, completamente sbilanciato sulle rinnovabili?
E quali regole occorre stabilire per aprire maggiormente il mercato elettrico ed energetico, a livello nazionale così come a livello europeo, per tentare di alleviare i costi energetici per industrie e famiglie?
La Cina e gli altri paesi emergenti avranno una enorme fame di energia, oltre che di altre materie prime, nel prossimo futuro. Ci sarà quindi maggior competizione sul mercato dell’energia? Quali saranno i contraccolpi per noi? E i soli obiettivi ambientali saranno prioritari rispetto allo sviluppo o alle necessità dell’economia, soprattutto in un periodo caotico sul versante economico e finanziario internazionale come quello attuale?
I driver principali secondo i quali impostare una politica energetica, soprattutto dopo l’abbandono dell’opzione nucleare, oggi sembrano essere due per il nostro Paese: la riduzione del costo della bolletta energetica e l’opportunità di alleviare questa debolezza strutturale (non abbiamo materie prime “energetiche”) in funzione dello sviluppo dell’economia e dell’industria nazionali, anche puntando sulla ricerca. Questi temi rimangono in agenda e sul tavolo di lavoro di tutti, addetti e non.