La contromanovra della Cgil ha un respiro molto più ampio di quella del Pd proposta da Bersani, che è un collage di soluzioni eterogenee, tipiche di un movimento politico alla ricerca della sua identità, con ammiccamenti strumentali alla ricerca di nuove alleanze. Quella della Cgil è l’unica a sinistra, in Italia, che sviluppi una concezione coerentemente vetero-socialdemocratica, di natura economico sociale alternativa alla politica economica europea e alla linea, per la verità non del tutto coerente, dell’attuale coalizione di governo.
A livello europeo la Cgil invoca una politica di europeizzazione del debito eccedente il 60% del Pil degli stati membri mediante gli eurobond e l’adozione di regole unitarie riguardanti i livelli dei salari in rapporto alla produttività nazionale, in modo da impedire il dumping sociale. La solidarietà europea dovrebbe consentire di arrivare al pareggio del bilancio nel 2015, anziché nel 2013.
Per quanto queste tesi basate sulla solidarietà europea possano affascinare una sinistra alla ricerca di un’azione comune europea, sulla base della solidarietà internazionale della classe lavoratrice, è abbastanza evidente che non è questo il quadro in cui ci possiamo attualmente muovere. Il modello di Unione europea che è stato scelto, firmando le regole di Maastricht e quelle dell’Unione monetaria europea, è diverso. E l’ingresso nell’Unione monetaria europea fu deciso dal governo Prodi, che la Cgil allora sosteneva.
In ogni caso, nell’ipotesi che si adottasse davvero lo schema auspicato dalla Cgil, l’Italia perderebbe interamente la sua autonomia, perché la gestione finanziaria comune passerebbe agli stati considerati finanziariamente forti, cioè all’asse franco-tedesco sorretto da Austria, Finlandia, Olanda. Mi sembra un contratto di Faust con Mefistofele. Non credo che gioverebbe alla nostra classe lavoratrice.
La manovra di finanza pubblica che la Cgil propone in alternativa a quella del governo è coerentemente articolata sugli inasprimenti fiscali in luogo del contenimento delle spese, salvo che per i costi della politica, intesi con una visione neomarxista. Gli inasprimenti fiscali, coerentemente con questa concezione, sono anch’essi concepiti in un’ottica di classe. Il nucleo fondamentale della proposta consiste di un’imposta straordinaria sui grandi immobili, la cui soglia supera gli 800 milioni di euro, con un’aliquota dell’1% che genererebbe un gettito di 12 miliardi nel 2012, su un aumento dell’imposta di successione che, non si sa come, darebbe un nuovo gettito di 2 miliardi annui e su un’imposta ordinaria sulle grandi ricchezze fra lo 0,55% e l’1,8% sui patrimoni che eccedono gli 800.000 euro che dal 2013 darebbe circa 15 miliardi.
A ciò si aggiunge una lotta all’evasione fiscale basata sul contrasto al sommerso e all’evasione nell’emerso che andrebbe perseguita mediante norme di tracciabilità, maggiori controlli, maggior ricorso a indici di tenore di vita, sanzioni più severe, coinvolgimento degli enti locali e coinvolgimento di soggetti collettivi e rappresentanze dei consumatori, dunque in un’ottica classista. Ciò dovrebbe ridurre l’evasione fiscale del 10-20%. Il gettito, però, non viene quantificato. L’imposta sulle rendite finanziarie e il contributo straordinario di solidarietà introdotto dal governo vengono invece mantenuti, anzi il secondo viene esteso a tutti i redditi e non solo a quelli Irpef. Anche il bollo sui tioli viene approvato, con suggerimento di rincari.
Dovrebbero essere eliminati i tagli alle spese sociali e assistenziali, perché considerati non solo in accettabili in sé, ma anche strumentali a un attacco all’attuale modello sociale, che va invece per la Cgil difeso, nella sua estensione e nella sua concezione universalistica e nelle sue regole sul pensionamento differenziato fra uomini e donne e per i limiti di pensionamento. Circa i tagli alla politica, ciò che non viene accatta è la riduzione dei Comuni e delle Province come metodo per ridurre la rappresentanza politica. Invece, si vuole ridurre il numero dei parlamentari.
Evidentemente la lotta politica con gli strumenti democratici viene ritenuta più efficace per i lavoratori a livello locale che a livello nazionale, come nella concezione originaria di fine Ottocento e della prima parte del Novecento, in cui la tesi prevalente circa la democrazia parlamentare, nella sinistra marxista era che in essa emergessero gli interessi della borghesia. Anche ora la sinistra tipo Cgil sente di avere una posizione minoritaria a livello nazionale e concentra la sua battaglia nelle istituzioni locali. Così si propone il taglio lineare di tutti gli emolumenti e vitalizi dei politici e degli amministratori pubblici, una maggiore riduzione delle auto blu e la riduzione delle società degli enti locali che non producono servizi e del numero dei loro amministratori. Invece, c’è una ferma opposizione alle privatizzazioni delle società degli enti locali che producono servizi. La distinzione fra enti e società produttive di servizi e improduttive sembra resuscitare la nozione marxista di lavoro produttivo e improduttivo, ma non viene chiarita.
Netta opposizione alla norma che stabilisce la validità anche retroattiva erga omnes dei contratti di lavoro aziendali o locali. Il modello, come si vede, è molto coerente, nella conservazione dell’attuale struttura politico sociale, assistenziale, localistica e welfarista, con il mito dello stato sociale e della società capillare partecipata del XX secolo, secondo l’utopia del 1968. Il modello è coerente anche nelle tesi sul sistema tributario, che è concepito in chiave classista, deve premere soprattutto sui ricchi, sui capitali, sui risparmi, deve coinvolgere la comunità nella lotta all’evasore fiscale, deve stabilire il salario mediante contratti nazionali rigidi.
Il disegno è utopico, sia nella quantificazione delle somme che si possono ricavare con queste tassazioni, sia nella supposizione che nel sistema economico esistano rendite tali da sopportare questi aggravi.
Non è facile capire perché il Pd, che ha un programma contraddittorio, in cui peraltro si riconosce che la crescita ha bisogno dell’economia di mercato e che la sinistra ha bisogno di un’iniezione di principi liberali, si associ allo sciopero della Cgil, cavalcando il suo operaismo sessantottino con i capelli oramai più bianchi che grigi.