La giornata di ieri è stata ancora turbolenta per i mercati finanziari. Piazza Affari ha chiuso in perdita del 2,53% e lo spread tra Btp e Bund ha raggiunto un nuovo record a quota 384 punti base. Nel pomeriggio, poi, Tremonti ha convocato il Comitato di stabilità finanziaria, di cui fanno parte, oltre al Tesoro, Consob, Isvap e Banca d’Italia. Poche ore prima, invece, Giorgio Napolitano aveva incontrato al Quirinale Mario Draghi, prossimo governatore della Banca centrale europea. Sembra dunque che tiri aria di emergenza. «Non è vero affatto – ci dice però Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze – che abbiamo una situazione di emergenza: è la politica che ha “creato” l’emergenza insieme a una parte della magistratura, che naturalmente si muove per buone ragioni, anche se i tempi sono un po’ sospetti. Se la vicenda Milanese, infatti, fosse emersa un anno fa, non avrebbe creato gli stessi strascichi di oggi. Ma forse allora non conveniva infangare l’uomo che veniva visto come il sostituto di Berlusconi a capo del governo».
Secondo lei, da cosa dipende allora questa sofferenza di Piazza Affari e dei titoli di stato italiani?
Le difficoltà della Borsa dipendono anche dal pessimismo dei mercati finanziari, i quali stanno vendendo titoli per comprare i bond che gli Stati Uniti si preparano a immettere sul mercato, dato che aumenteranno il loro debito pubblico di 2.400 miliardi di dollari in un anno e mezzo. Nonostante questo grande deficit, inoltre, gli Usa non riescono a creare occupazione: la cura keynesiana non sta funzionando, la crescita è minore del previsto e questo si fa risentire anche sulle importazioni dall’Ue. L’Europa, da parte sua, deve fare i conti con la debolezza di alcune economie che non riescono a reggere il processo di deflazione che si sta attuando per migliorare i conti pubblici. La “malattia” del debito pubblico italiano dipende invece da altro.
Da che cosa?
Dal fatto che abbiamo una situazione politica molto delicata, resa tale soprattutto dagli attacchi spietati che sono stati fatti dai grandi giornali italiani contro Giulio Tremonti, anche da quelli di cui era fino a poco tempo fa un beniamino e che lo dipingevano quale sostituito di Berlusconi. Questa situazione personale, che invece di essere trattata con garbo è stata considerata con estrema durezza, ha turbato i mercati, dato che la manovra di finanza pubblica è fortemente personalizzata ormai da anni, nel senso che il nostro ministro dell’Economia se ne è assunto l’intera regia e responsabilità e ne è sempre stato il garante internazionale. È stato questo fatto di natura politica a cambiare le carte in tavola.
Berlusconi riferirà oggi al Parlamento e domani il governo incontrerà le parti sociali. Secondo lei, cosa dovrebbe fare il Presidente del Consiglio per affrontare al meglio la situazione?
Bisognerebbe anticipare parte della riduzione del deficit pubblico previsto dalla finanziaria all’anno prossimo, portandolo dal 2,5% del Pil previsto all’1,5%. Poi occorrerebbe una regola da inserire prima nelle norme della contabilità dello Stato e poi nella Costituzione che imponga il bilancio in pareggio. In questo modo avremmo sistemato il deficit pubblico e potremmo passare al problema del debito.
Con quali misure?
Da una parte, attraverso delle privatizzazioni e delle alienazioni patrimoniali. Dall’altra, con la creazione di un fondo per il finanziamento del debito pubblico, un proposta che avanzai con un disegno di legge nel 1993-94, ma che è rimasta lettera morta. A questo fondo dovrebbe essere destinata una quota delle imposte generali con il preciso scopo di ripagare gli interessi sul debito pubblico. In questo modo, si darebbe un messaggio importante ai mercati: le imposte servono innanzitutto a rifinanziare il debito e solo dopo a sostenere la spesa pubblica. Queste misure, secondo me, dovrebbero essere inserite nel programma che Berlusconi presenterà al Parlamento e alle parti sociali. Con qualche avvertenza però.
Quale?
Il fondo funziona solo se si prima si interviene con le misure che ho detto sul deficit, in modo che una volta che questo viene azzerato, il rapporto debito/Pil non aumenta, ma anzi si riduce. Inoltre, bisogna spiegare alle parti sociali che la loro idea di un cambiamento di registro, della necessità di maggior crescita va benissimo, ma occorre anche fornire una risposta ai mercati, che sono turbati per cause esogene alla finanza. Quindi le politiche pro crescita possono essere fatte solo se vengono anche messe in atto le misure che ho illustrato. Ovviamente, l’iniziativa dovrebbe essere del Presidente del Consiglio con i vari ministri, in modo che sulla figura del ministro dell’Economia non ricada tutto il peso della credibilità della nostra finanza pubblica.
Il fondo europeo predisposto per aiutare Grecia, Irlanda e Portogallo non può coprire Spagna e Italia, che si trovano così maggiormente esposti alla speculazione. L’Europa non potrebbe aiutarci in qualche modo?
Innanzitutto, va detto che noi contribuiamo a quel fondo e ci perdiamo, dato che gli interessi che offre sono agevolati. Bisognerebbe allora che in sede europea si stabilisca che quei soldi vengano scontati dal livello del nostro debito pubblico. L’Italia ha sostenuto la creazione di questo fondo, convinta forse che potesse servire come precedente per aiutare anche noi, ma ora ci sta mettendo in difficoltà. Allora Tremonti raccolse ampi consensi da parte di tutti gli europeisti italiani, favorevoli a questa solidarietà europea che però funziona solo verso paesi piccoli, ma non verso quelli grandi.
Una delle maggiori banche tedesche ha venduto una gran quantità di titoli italiani. Non pensa che almeno la Germania debba intervenire per aiutarci?
Faccio sempre un’analogia che non viene molto gradita: quando il mare è grosso, anche i nuotatori robusti, se cercano di salvare dalle onde coloro che non sanno nuotare, rischiano di affogare. La Germania è come uno di questi nuotatori e può aiutarci solo sottoscrivendo i titoli del nostro debito pubblico nel caso ritenga credibile l’Italia, così come può farlo la Bce, dato che tra poco passerà sotto la presidenza di Draghi. Con le proposte che ho illustrato prima, ritengo che i tedeschi possano fidarsi dell’Italia. Diversamente, fuori dal mercato la Germania non ha le forze per salvare l’Italia, anche perché dopo dovrebbe soccorrere Spagna e Belgio, e ciò le sarebbe impossibile.
(Lorenzo Torrisi)