«L’economia mondiale si trova nel mezzo di uno dei momenti più difficili e drammatici mai attraversati. All’origine di quanto sta avvenendo c’è un mix di fattori, anche se il colpo più forte l’ha dato l’economia americana che non riesce più a crescere. E l’unica soluzione può essere un’azione forte dell’Unione europea, per garantire che i titoli di Stato dei Paesi a rischio siano venduti al loro valore reale e non diventino quindi preda degli speculatori». Ad affermarlo è Graziano Tarantini, presidente di Banca Akros, intervistato da Ilsussidiario.net nel giorno in cui Piazza Affari ha chiuso un’altra seduta in rosso con una perdita del 2,53%.



Tarantini, che cosa sta avvenendo alle Borse mondiali e soprattutto a quella italiana?

Non ricordo un altro periodo così difficile e drammatico. Barack Obama ha disinnescato la situazione relativa al debito americano, e sicuramente oggi gli Stati Uniti possono respirare in modo più tranquillo di quanto facessero alcuni giorni fa. Ma questo non è bastato a rassicurare le Borse mondiali, che sono cadute nuovamente.



Qual è quindi la vera causa?

C’è un dato che è davvero allarmante: per la prima volta, l’economia degli Stati Uniti non cresce più, o lo fa a ritmi troppo blandi. Le aspettative per il primo semestre 2011 erano di un +3%, e invece il risultato è stato di un +1%. L’economia americana insomma cresce «all’italiana».

Fino a che punto la paura per il futuro è davvero diffusa, e fino a che punto è indotta?

Gli speculatori esistono sempre, ma c’è un timore molto diffuso e lo si vede in modo chiaro dall’iper-valutazione del franco svizzero. E’ il classico segnale di una paura che serpeggia tra la gente, che si rifugia nella moneta della Confederazione Elvetica perché si aspetta di trovarvi una maggiore sicurezza. Inoltre ciò che preoccupa, al di là del crollo dei mercati, è che quella che in precedenza era ritenuta una ricchezza tangibile, ora è intaccata. Ciò che è messo in discussione è la misurazione di un valore.



In che senso?

Bastano pochi dati per comprendere che quello che sta avvenendo oggi è molto diverso da quanto accaduto in passato. Fino a poco tempo fa si usava dire che quando le valutazioni di Borsa sono inferiori o pareggiano il patrimonio netto di una società è il momento di comprare, perché è impensabile che si possa scendere ancora. Oggi in alcune società siamo già arrivati a valori pari al 20-30% del patrimonio netto: significa che non c’è più alcun collegamento tra il valore espresso dalla finanza e quello reale.

 

Che cosa la preoccupa di più della giornata di ieri?

 

Il fatto che si faccia addirittura fatica a fare scambi sui titoli di Stato, perché non si riesce a stabilirne il prezzo e a identificarne il valore. E questo si ripercuote sul valore espresso dal portafogli di numerose banche, che hanno titoli di Stato nei loro attivi. Finché si tratta di un’obbligazione, di un titolo a reddito fisso, di una corporate, si può capire. Ma per un titolo governativo no.

 

Quale può essere la risposta a questa situazione?

 

La risposta non può che essere europea, e deve avvenire a due livelli. La Bce, che pure non può comprare i titoli di Stato alle aste, lo può fare sul mercato secondario, cioè quando il titolo è già stato quotato. Acquistandoli al loro valore reale, può convincere anche gli investitori privati a fare altrettanto con effetti benefici su ampia scala. In secondo luogo l’Ue ha creato un fondo da 400 miliardi di euro per sostenere la Grecia, che non si è capito fino in fondo se sia davvero entrato a regime oppure no. Considerati quindi i differenziali, pari a 370 punti, tra i Bund tedeschi da un lato e i Btp italiani e i Bonos spagnoli dall’altro, se si vuole sostenere Italia e Spagna evitando manovre speculative quel fondo da 400 miliardi deve diventare da 3mila miliardi, e deve essere un fondo europeo che stabilisce il prezzo congruo dei titoli di Stato spagnoli e italiani. Spagna e Italia si trovano sull’orlo di una crisi più profonda, che soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese non è meritata.

 

Intende dire che l’economia reale italiana non è così in difficoltà come può apparire dal crollo della Borsa?

I titoli di Stato italiani oggi non esprimono affatto quello che è il dato dell’economia del nostro Paese. Oggi le esportazioni sono aumentate, e una parte delle nostre aziende riesce a essere competitiva sui mercati. Gli speculatori possono fare precipitare i nostri titoli di Stato dentro a una spirale senza fine. Ma siccome conosco direttamente la realtà di molto delle principali società quotate italiane, so quali sono i loro attivi e le loro redditività, e mi sento di escludere nel modo più assoluto che valgano il 20-30% del loro patrimonio netto.

 

Per quale motivo Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e le altre banche sono così penalizzate in Borsa?

 

Perché sono stati messi in discussione i titoli maggiormente usati da questi istituti di credito per fornire liquidità e dare le garanzie collaterali quando si compiono operazioni di cambio sui mercati. Ma così si mette in discussione il valore stesso della moneta, perché i titoli di Stato sono il benchmark verso cui ci si muove a partire dal presupposto che quello sia un titolo «a rischio zero», almeno rispetto ai parametri di mercato. Pensare quindi che i titoli di Stato possano diventare un problema, finisce per penalizzare tutte le banche.

 

Le banche italiane rischiano di diventare preda di quelle straniere?

 

Stando ai valori di Borsa di oggi, è possibile acquistarle per cifre veramente irrisorie rispetto al loro valore reale. Parliamo del 30-40% del loro patrimonio netto, e si tratta di banche molto appetibili. Di fronte alla paura, chiunque è disposto a dire: «Vendo tutto, basta che uno mi offra il 30% in più rispetto ai valori che esprime la Borsa». Accettando in questo modo dei deprezzamenti anche del 70-80%.

 

(Pietro Vernizzi)

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