Il tanto temuto “downgrade” alla fine è arrivato e gli Stati Uniti, per la prima volta nella storia del Paese, hanno perso il rating di tripla A. È stata l’agenzia Standard Poor’s a definire i titoli di stato americani non più sicuri come prima, dopo un braccio di ferro con il Tesoro che ha immediatamente contestato questa decisione senza precedenti. Secondo l’amministrazione Obama ci sarebbe un errore di 2.000 miliardi di dollari nei calcoli fatti dagli analisti dell’agenzia, ma John Chambers, presidente del comitato di valutazione di S&P, fa sapere che il tetto del debito doveva essere alzato prima per evitare la declassazione a AA+ con out look negativo, e nei prossimi 12 o 18 mesi, in mancanza di correzioni solide, potrebbe arrivare un altro taglio. Dura l’immediata reazione della Cina che, attraverso un comunicato diffuso dall’agenzia Nuova Cina, afferma che, essendo “il più grande creditore dell’unica superpotenza mondiale, ha tutto il diritto di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari”. Proprio la Cina non era convinta del piano americano per evitare il default e ora commenta con freddezza: “I giorni in cui lo zio Sam, piegato dai debiti, poteva facilmente dilapidare quantità infinite di prestiti stranieri sono ormai contati” e questo declassamento deve essere considerato un ammonimento per gli Stati Uniti.
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L’affidabilità dei titoli di stato americani è quindi ora inferiore a quello di Germania, Canada e Francia, ma gli analisti fanno sapere che la decisione presa da Standard & Poor’s potrebbe avere effetti psicologici più che pratici, anche se le conseguenze di questo taglio di rating potrebbero farsi sentire su altri Stati e aziende a rischio downgrade, che potrebbero vedere salire i costi di finanziamento.