La manovra è ormai nel vivo del suo iter parlamentare. Sì è parlato tanto di modifiche ai suoi provvedimenti in parte ritenuti iniqui persino da settori della stessa maggioranza. Ma c’è chi dalla società civile segnala una mancanza importante. Ce la spiega in questa intervista Marco Morganti, amministatore delegato di Banca Prossima, branca del gruppo Intesa Sanpaolo dedicata esclusivamente al mondo nonprofit.



Cosa non va nella manovra finanziaria?

Non voglio entrare nel merito dei provvedimenti, ma segnalare un dato importantissimo: dei 37 miliardi di euro di debito che la Pubblica amministrazione (nelle varie articolazioni dello Stato) ha nei confronti dei suoi fornitori, 25 sono sulle spalle del nonprofit. Io troverei minimamente decoroso che lo Stato e le sue articolazioni facessero un piano di rientro, in modo tale che il sistema bancario possa usarlo come garanzia per il proprio credito nei confronti delle imprese del Terzo settore. E di questo tema non c’è alcun accenno nella manovra. Si parla di uno sforzo gigantesco per risanare i conti pubblici, ma questo debito qualcuno l’ha preso mai in considerazione? Questa situazione non è critica solo per le imprese nonprofit, ma creerà problemi anche alle famiglie italiane.



Perché?

Le famiglie sono sempre più impoverite e sempre meno coperte dal sistema sanitario nazionale, che continua a subire tagli. Senza nonprofit, chi aiuterà le famiglie? Nella manovra si è guardato molto al risanamento dei conti pubblici, cosa più che fondamentale e necessaria, ma non è la sola da fare. Anche perché non si è fatto niente per garantire il welfare sussidiario. Si sa che il welfare pubblico andrà a scomparire, ma non si fa alcun cenno su cosa dovrà sostituirlo, a quali condizioni e con quali facilitazioni. Il Terzo settore purtroppo non riesce a far valere le sue ragioni. A suon di decreti ingiuntivi, di cause e di facce feroci i privati riescono spesso a ottenere qualcosa dei crediti che hanno verso lo Stato, ma la cooperativa sociale, l’associazione di volontariato a chi si deve rivolgere per essere ascoltata?



Si tratta di un problema che nasce per scarsa capacità di rappresentanza del Terzo settore o perché nessuno lo ascolta?

Le due cose sono facce della stessa medaglia: se non ho la capacità di convincere, nessuno mi ascolterà. Non voglio fare polemica con il Forum del Terzo settore, ma il mondo nonprofit sembra essere insoddisfatto della propria capacità di rappresentarsi e le istituzioni spesso se ne approfittano. Purtroppo la situazione sta ormai diventando sempre più grave. Per spiegarmi vorrei fare un esempio eloquente.

Prego.

C’è un creditore, il Terzo settore, che non riesce ad avere soddisfazione dei propri crediti da un soggetto etico che si chiama sistema pubblico (Stato, Provincia, Regione, Comune, ecc.). Aspetta questi pagamenti ormai da un anno: nessuno si stupisce, perché 365 giorni di ritardo in un pagamento è quasi normale. Ma ci sono casi in cui il ritardo supera i tre anni. Il Terzo settore è nel frattempo debitore del sistema bancario, ed è ovvio che sia così perché deve pure approvvigionarsi di risorse. Il sistema bancario è però preciso come un orologio sulle scadenze dei pagamenti: tanto per dare un dato, nel 99,6% dei casi i nostri crediti vengono rimborsati nei tempi dovuti. Fino a quando le cose potranno andare avanti così? Fino a quando dovremmo vedere un debitore che non paga e un altro che paga puntualmente magari impegnando i beni personali del presidente della cooperativa sociale? Ma non è finita qui.

Continui prego.

Di intesa con le organizzazioni delle cooperative sociali, abbiamo inventato un sistema per garantire un consorzio fidi e corrispondiamo alle organizzazioni che ne hanno bisogno la cifra esatta che serve per pagare fino a sei mensilità di stipendio arretrate. È un aiuto importante, ma resta un pannicello caldo. Questo, che sta (purtroppo) avendo successo, è uno strumento con cui ritardiamo di sei mesi l’entrata ufficiale in crisi di un’impresa. Altrimenti succede qualcosa di assurdo: la Pa non paga i suoi debiti, i suoi fornitori finiscono per non avere più soldi per pagare gli stipendi ai propri dipendenti, il loro Durc (Documento unico di regolarità contributiva) non è quindi più emettibile perché non pagano più i contributi e a questo punto non possono più per legge diventare o continuare a essere fornitori della Pa.

Quante sono le imprese del Terzo settore in crisi?

Le sofferenze della nostra clientela si stanno facendo sentire, perché notoriamente l’apnea non è protraibile all’infinito. Sono molte migliaia le aziende in una situazione tecnica di crisi. Per questo, le imprese sociali stanno ragionando su fusioni e aggregazioni, in modo da avere semplificazioni organizzative da cui possono ottenere dei risparmi. In sé questo non è un male, anzi era nell’ordine delle cose, vista la frammentazione del nonprofit italiano. Ci auguriamo che si possa raggiungere una situazione in cui la Pa paga regolarmente i suoi fornitori, smette di fare gare al ribasso (perché producono scadimento della qualità dei servizi) e, solo a questo punto, si occupa di guardare all’efficienza delle organizzazioni del Terzo settore, premiando le aggregazioni, le fusioni, ecc., che oggi avvengono in forma spontanea.

Un’ultima domanda: perché vi definite una banca specializzata e non una banca etica?

La parola “etica” (senza alcun riferimento a Banca Etica che stimo) non è un’etichetta che si può attaccare ad alcune parti della finanza mentre ad altre no, perché è come se mi presentassi dicendo che sono un uomo onesto. Io penso che l’eticità di una banca sia un prerequisito; d’altra parte il Papa nella Caritas in veritate ha scritto: sia etica tutta l’iniziativa economica. Non esiste quindi una finanza più o meno etica. Esiste invece una finanza che è non è sufficientemente preparata per raccogliere certe necessità tipiche del Terzo settore. Non ci piace definirci una banca etica perché non lo siamo più delle altre, ma siamo una banca specializzata nel settore etico dell’economia, perché la definizione etica si addice di più alle opere del sociale italiano, dove c’è dono, gratuità e condivisione degli utili.

 

(Lorenzo Torrisi)