Qualcosa di sinistra? Per lo meno una piccola patrimoniale. Per lo meno, nel senso che quando alcune tra le “icone” del capitalismo italiano – come Luca di Montezemolo, o Pietro Modiano, o Giuliano Amato, tutta gente che certo non è mai stata “di sinistra” nel senso filocomunista della parola – si dichiarano disponibili a mettere mano alla tasca e a tassarsi, sia pure una tantum, in modo considerevole per permettere alle casse della Repubblica di guarire, è proprio segno che la cosa si potrebbe fare.
E non è stata fatta. Peggio. Si è persa l’occasione, e ancora la si sta perdendo, per fare una piccola e diffusa patrimoniale che senza ledere i redditi dei lavoratori dipendenti, a stipendio fisso, né quelli degli autonomi, per evasori che siano, consentirebbe un’importate raccolta finanziaria una tantum: si tratta della revisione degli estimi catastali, cioè quei valori in base ai quali i cittadini pagano l’Ici (non sulla prima casa, e questa è un’altra materia controversa) e pagano l’imposta di registro o l’Iva quando acquistano o vendono un immobile.
Ebbene, questi estimi catastali sono stati aggiornati l’ultima volta nel 1989. Da allora è caduto il Muro di Berlino, è finita la Prima Repubblica, sono state abbattute le due torri, è stato detronizzato Gheddafi, è accaduta la tragedia di Fukushima, il mondo è cambiato… ma i valori delle case italiane, per il Catasto, sono rimasti immutati.
Attenzione: ciò è accaduto in aperto e totale dispregio della legge che prevedeva, al contrario, una loro rivalutazione almeno ogni dieci anni, che se fosse stata fatta avrebbe comportato, dall’89 a oggi, ben due scalini di rivalutazione. Invece, niente. Per di più, è stata abolita per tutti i contribuenti l’Ici sulla prima casa, a prescindere dal reddito. Una mossa elettoralistica, certo molto apprezzata, ma comunque a conti fatti troppo generosa. Se si rivalutassero gli estimi, senza toccare null’altro nel quadro erariale nazionale, si potrebbe recuperare una cifra di almeno 4 miliardi di introiti all’anno. Ma soprattutto si farebbe una manovra di equità.
E la patrimoniale classica? Beh, quella naturalmente è un’altra cosa, più discutibile, meno certamente efficace: perché è chiaro che è un’arma estrema, non ripetibile, che induce all’evasione, all’esportazione dei capitali, che genera nei contribuenti la sensazione di essere vessati e che non è di facile applicazione. Certo però che, a fronte dell’ipotetica certezza che i soldi reperiti attraverso di essa sarebbero investiti per abbattere strutturalmente il debito pubblico e permettere l’introduzione di misure di autentico stimolo della crescita economica, la linea aperturista enunciata dai vari Montezemolo & C. avrebbe una sua ragion d’essere.
Quel che i contribuenti non tollererebbero, invece, sarebbe la sensazione di star regalando quattrini a una classe politica capace solo di sperperarli. Per cui, forse, l’accoppiata vincente – capace di far fare all’Italia un doppio scalino, di reputazione internazionale e solidità finanziaria – sarebbe contemporaneamente una patrimoniale e un ricambio in massa della classe dirigente politica. Solo che mentre la patrimoniale si fa per decreto, il ricambio della classe politica non si sa come si fa.
Quel che è certo è che la quadruplamente riveduta e corretta manovra d’emergenza dell’Italia del 2011 passerà alla storia come quella della mancata patrimoniale. Che, a proposito di qualcosa di destra, ha scaricato sull’Iva – un’imposta indiretta che colpisce i poveri quanto i ricchi (e quindi molto più dei ricchi) – l’onere maggiore.