Un Fondo finanziario europeo (Ffe) basato su quote di società proprietarie di reti come Terna, Snam rete gas, autostrade, ferrovie e telecomunicazioni, oltre che su riserve auree. È la proposta di Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, per salvare l’euro riducendo il debito pubblico dei vari Paesi e rilanciando il Pil.



Per Fortis, l’euro è una conquista irrinunciabile, e «la prima a rimetterci dalla sua dissoluzione sarebbe la Germania. Con una moneta più forte i tedeschi avrebbero una perdita di competitività gigantesca, legata alle maggiori difficoltà nell’esportare i loro prodotti».

Ritiene che l’euro abbia ancora un futuro, o che sia giunto al capolinea?



L’euro è stato una grande conquista dell’Ue, e ormai è un punto di riferimento essenziale per la vita economica dei paesi che ne fanno parte. E questo anche per le conseguenze che ha avuto per il commercio internazionale. Basti pensare all’opportunità che ha avuto la Germania di estendere i suoi commerci e di rafforzare la sua bilancia commerciale, avendo come partner tanti importanti paesi europei con cui vanta degli attivi commerciali rilevantissimi. L’euro è in qualche modo un pilastro di questo sviluppo, oltre che un punto di riferimento cruciale per la finanza dell’Ue.

Ma l’euro riuscirà a superare i gravi problemi che ha di fronte?



Se questi problemi saranno affrontati in modo efficace dall’Ue, con un cambio di marcia rispetto a quanto è stato fatto finora, non vi è nessuna ragione per pensare che l’euro debba finire. A patto però che vi sia una razionalità di fondo nei comportamenti dei vari paesi membri. Cioè che puntino effettivamente a cementare e a rafforzare l’euro, e non invece a disgregare quanto è stato costruito finora. La crisi greca del resto è stata lasciata lievitare, mentre era possibile circoscriverla in tempi più veloci e con minori oneri. I tentennamenti europei, e soprattutto quelli della Germania, non hanno certamente facilitato la soluzione di questa crisi.

La moneta unica però potrebbe sopravvivere in altre forme, diverse da quelle attuali …

Non credo che sia questa la strada da seguire. Piuttosto, è la governance dell’euro che dovrà essere rafforzata. Ma quello che in pochi finora hanno compreso è che i veri rischi vengono dal fatto che il patrimonio privato della Grecia è pari alla metà del suo Pil, mentre il patrimonio privato solo finanziario in Italia è pari a 1,7 volte il Pil. È questo il motivo per cui vediamo che tutti i giorni si prospettano nuove difficoltà per Atene, con il rischio che i fondi che dovrebbero aiutare la Grecia non possano essere erogati perché non sono state soddisfatte alcune richieste relative al riordinamento dei conti del Paese. Ma la stessa Germania, dove ci sono degli atteggiamenti populistici contrari al salvataggio dei Paesi deboli, deve rendersi conto del fatto che anche le loro banche hanno difficoltà con i paesi emergenti. Spaccando quindi l’euro in due, uno forte al nord e uno debole al sud, o addirittura con il ritorno alle monete nazionali, la Germania avrebbe una perdita di competitività gigantesca e immediata con maggiori difficoltà nell’esportare i suoi prodotti.

 

Quali sono quindi gli strumenti da adottare per salvare l’euro?

 

Sono un sostenitore degli Eurounionbond (Eub), nella modalità prospettata da Romano Prodi e da Alberto Quadrio Curzio. Non si tratta quindi di “annacquare” il debito dei paesi con i conti meno in ordine. Al contrario, è una soluzione in cui i grandi paesi partecipano in modo fondante allo scenario europeo del Ffe, il cui capitale sarebbe costituito da riserve auree e quote di partecipazione delle società pubbliche. La mia proposta, però, è di non ricorrere a delle generiche quote di società pubbliche, bensì a quelle che gestiscono le grandi reti. Cioè degli asset che non perdono valore e sono estremamente solidi. Inoltre, la finalità degli eurobond sarebbe proprio quella di andare a finanziare grandi progetti infrastrutturali delle reti. Quindi ha molto senso che ci sia un conferimento di quote di queste società nel capitale iniziale del Ffe.

 

Quale sarebbe l’ammontare del fondo europeo?

Quadrio Curzio e Prodi hanno proposto un valore pari a 1.000 miliardi di euro. L’Italia parteciperebbe con il 18% delle quote, per un valore pari a 180 miliardi. La Germania verserebbe 240 miliardi e la Francia 200 miliardi. Non si può quindi dire, ponendosi anche in un’ottica tedesca, che l’Italia pretenda di “fare le nozze con i fichi secchi”. L’Italia al contrario partecipa con riserve auree e quote di società molto solide. Quello degli eurobond quindi non è un rifugio per annacquare il debito dei paesi con i conti in disordine, ma un capitale iniziale dove Italia e Francia messe insieme conferiscono più della Germania. Costituito il Ffe, con una leva di 1 a 3, si raccoglierebbero 3.000 miliardi di euro. Di questi, 2.300 andrebbero per acquistare titoli di debito pubblico nei paesi dell’eurozona, in modo da farlo scendere dall’85% al 60% del Pil. Questo significherebbe che il debito italiano si ridurrebbe al 95% (dal 120%), mentre quello francese e tedesco andrebbero sotto al 60%.

 

Il rischio speculazione però resterebbe…

 

In realtà, con un capitale e con un intervento così significativi, si toglierebbe l’appetito agli speculatori. Nessun avversario mondiale, fosse anche una cordata di fondi americani, di fronte a un colosso come il Ffe oserebbe attaccare l’eurozona. Inoltre, il Ffe avanzerebbe 700 miliardi di euro da destinare a grandi investimenti europei, nelle infrastrutture, nelle reti, nella conoscenza e nella ricerca. È un elemento molto importante, perché anche questi 700 miliardi andrebbero ripartiti pro-quota, e il 18% andrebbe all’Italia: 120 miliardi di euro che nessuna finanziaria riuscirebbe a mettere in piedi e con la quale potrebbero essere finanziati investimenti per la crescita del Pil. Questa quindi è l’architettura più convincente per porre una soluzione al problema del debito, ma anche per rilanciare la crescita in Europa.

 

(Pietro Vernizzi)

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