«Nessuno ha mai pensato di dissolvere il dollaro, solo perché la California si avvicinava al rischio default. E allora perché la bancarotta della Grecia dovrebbe mettere fine all’euro?». Lo sottolinea l’economista Alberto Quadrio Curzio, in questo intervista che prosegue il nostro dibattito sul futuro della moneta unica europea. Per il professore, «la California pesa però sugli Usa molto di più che non la Grecia sull’Ue, e gli Stati Uniti sono più indebitati e hanno una bilancia commerciale più in passivo dell’Europa». Il salvataggio dell’euro non è comunque scontato, e proprio per questo bisogna puntare su due misure: gli Eurounionbond e un presidente del Consiglio dell’area euro distinto dal presidente dell’Unione Europea.
Professor Quadrio Curzio, l’euro sta crollando o resisterà alle attuali turbolenze?
L’euro nel cambio con il dollaro è circa a quota 1,38, vicino al cambio medio di circa 1,20 da quando è nata la moneta europea. Questa differenza pertanto non consente l’affermazione che l’euro dal punto di vista dei cambi stia crollando. Le attuali difficoltà della moneta unica europea derivano però da tre fattori, dai quali può derivare o meno una crisi dell’euro. Il primo è il fatto che i debiti sovrani europei, rispetto al reddito totale di Eurolandia, sono minori rispetto a quelli degli Stati Uniti. Eurolandia naviga intorno all’85% di debito su Pil, gli Usa sono già sopra al 100%. Eppure, qualora la California dovesse andare in bancarotta, questo non sarebbe sufficiente a fare crollare il dollaro. Non si capisce quindi perché l’euro dovrebbe andare in pezzi per una bancarotta della Grecia, dal momento che la California pesa sugli Usa più della Grecia sull’Ue.
E quindi perché i mercati hanno preso di mira l’euro, e non invece il dollaro?
E qui veniamo al secondo fattore che può decidere o meno la fine dell’euro. Questa iper-sensibilità dei mercati nei confronti dei titoli sovrani europei ha una componente di natura parapolitica e speculativa che non trova conferma nei fondamentali di Eurolandia. Se confrontiamo i dati sui debiti privati, il risparmio privato, l’inflazione, la protezione delle fasce più deboli garantita dal sistema di welfare, il complesso degli Stati dell’area euro ha sempre una situazione migliore degli Stati Uniti. Inoltre, Eurolandia ha una bilancia commerciale sostanzialmente in pareggio, mentre quella degli Usa è profondamente deficitaria. Quindi non capisco quali siano i fondamentali economici per attaccare i titoli sovrani di Eurolandia, e non quelli degli Usa.
Forse perché il dollaro è la base per tutti gli scambi a livello mondiale?
È la terza osservazione, che in parte spiega le anomalie emerse dalle due precedenti. Il dollaro rimane la valuta di riserva mondiale, l’unità di conto dei prezzi delle materie prime e del commercio mondiale. Quindi chi compra titoli in dollari, pensa che comunque il dollaro rimarrà questa valuta cardine. Nel corso della storia, però, tra la fine dell’800 e i primi 15 anni del ‘900, il dollaro ha rimpiazzato la sterlina su scala mondiale. Potrà in futuro il dollaro essere scardinato dallo Renminbi cinese? Il giudizio molto secco dell’agenzia di rating cinese sull’America è di una severità che nessuno in Europa oserebbe avere. L’interesse che la Cina sta manifestando verso l’Europa va al di là della contingenza e si configura come una potenziale volontà che l’Europa rimanga un polo con una valuta importante?
È da questo che dipenderà il futuro dell’euro?
Diciamo che la mia risposta non è né “penso che l’euro collassi”, né “penso che non collassi”. Se guardo ai fondamentali di Eurolandia non c’è nessun motivo per cui dovrebbe dissolversi la moneta unica. Ma se all’ultima domanda che ho fatto e che ho lasciato volutamente aperta, si rispondesse di no, allora è possibile qualsiasi scenario, anche il più catastrofico.
Resta il fatto che le vere differenze tra Usa e Ue non sono economiche o finanziarie, bensì politiche…
Sì, e la più importante è che gli Usa hanno un governo federale, mentre l’Europa non ce l’ha. Proprio per questo, per evitare la crisi dell’euro, propongo innanzitutto l’introduzione degli Eurounionbond, basati su garanzie reali come oro e azioni di reti infrastrutturali europee. Cioè non su soldi veri, bensì su beni veri. L’altro elemento indispensabile per evitare che l’euro finisca in un vicolo cieco è creare un presidente del Consiglio di Eurolandia diverso dal presidente dell’Ue, oltre a un presidente dell’Eurogruppo che non sia un ministro in carica in uno dei Paesi membri e che duri in carica cinque anni. Quindi due organi confederali: un presidente e un ministro dell’Economia di Eurolandia.
Quali dovrebbero essere le loro funzioni?
Accelerare notevolmente l’esecutività delle decisioni prese. Prima dell’estate si è scelto di ampliare la dotazione del fondo di sostegno, consentendo a quest’ultimo strumento di comperare titoli di Stato sul mercato secondario. Ma le modifiche di statuto saranno ratificate non prima della fine dell’anno. Passano sette mesi, un tempo enorme per le circostanze attuali, e come se non bastasse la Slovacchia minaccia di opporsi. Allora bisogna introdurre un sistema di voto in Eurolandia che sia ponderato al Pil dei diversi Paesi, perché altrimenti si può anche rimanere ostaggi di paesi piccolissimi, ed è un rischio che Eurolandia non si può permettere.
In che senso?
Il fondo di sostegno, che potrebbe già emettere oggi obbligazioni per 220 miliardi di euro, ne ha emessi solo 13 miliardi. E nessuno sa perché. Se l’Europa decide, ma poi ci mette un anno a dare esecuzione alle decisioni, oppure dà esecuzione a una decisione minima rispetto alle possibilità, allora vuol dire che ha deciso di farsi del male.
Ma è solo un problema di regole, o c’è anche qualcosa di più?
E’ anche un problema di spessore delle personalità politiche. In tutto ciò si sente la mancanza di leader di alto profilo. Non vedo cioè un Helmut Kohl o un Francois Mitterand, così come non vedo un Romano Prodi alla presidenza della Commissione Ue.
(Pietro Vernizzi)