Dire che questo 2 settembre 2011 è un “venerdì nero” per i mercati di tutto il mondo è quasi un eufemismo. La gelata di questa giornata su tutte le Borse ha riportato con i piedi per terra anche i sognatori del “giovedì del rimbalzo”, quelli che ieri pensavano che si avviasse, dopo l’agosto terribile, un trend non rialzista, ma quanto meno di mantenimento dei valori riguadagnati. Il ragguaglio dei listini è invece simile a un “bollettino di guerra”.
Vediamo con ordine. Milano perde il 3,89 per cento nell’indice Fitse Mib e rimane aggrappata di una decina di punti alla soglia dei famosi quindicimila punti, la cosiddetta soglia psicologica di questi tempi. Ci sono alcune Borse che continuano ad andare male, come il Dax di Francoforte che chiude con una perdita del 3,32 e Parigi, con il suo Cac 40, che scende del 3,53. Va malissimo Wall Street, che al momento ha gli indici Nasdaq e Dow Jones che si avvicinano a una perdita vicina al due percento.
Insomma, se a fine mattinata c’era l’indice portoghese che segnava un rialzo dello 0,5 percento, mentre già le altre Borse erano in rosso profondo, al pomeriggio Lisbona se la sono dimenticata tutti i commentatori, gli analisti e persino i reporter che devono solo comunicare gli indici. Una giornata disastrosa, dopo un accenno di speranza effimera. I guadagni di ieri, i mercati se li sono rimangiati tutti e spesso con gli interessi, oggi. Risultato: rimbalzo rientrato in 24 ore. Alcuni hanno proseguito la corsa al ribasso con una accelerazione impietosa: è il caso del Dax di Francoforte, che non ha goduto neppure del rimbalzo o dei tentativi di rimbalzo degli ultimi giorni. A questo punto bisogna fare un conto speciale per la finanza e l’economia della signora Angela Merkel. Al meno 20 percento della Borsa di Francoforte nel mese di agosto, vanno aggiunte le perdite dei primi due giorni di settembre.
A ben vedere comunque, il saliscendi spaventoso da un giorno all’altro, era ancora una volta prevedibile. Le dichiarazioni dirette, fatte ieri dalla Casa Bianca, prima dallo stesso presidente Obama, poi da un suo portavoce, sullo riduzione della crescita del pil (era previsto un più 3,4, si arriverà a un più 1,6 se va bene) forniva un’immagine impietosa dello stato dell’economia. Una revisione che spiegava, meglio di tutte le considerazioni, i dati macroeconomici apparsi in questi giorni.



La sequenza fornita dal dato dei consumatori in calo vertiginoso, dal settore edilizio-abitativo che non è mai più risalito, dal settore manifatturiero che è appena sotto controllo, dai settimanali rapporti sui sussidi di disoccupazione che variano di pochissimo, danno l’immagine di un’economia fragile, sia al di qua che al di là dell’Atlantico. Un’economia che non solo non cresce, ma non riesce a trovare la strada giusta per ritornare a crescere veramente dopo la crisi del 2008. La manovra italiana, a questo punto, resta solo un angolo confuso di un panorama mondiale ormai inquietante.

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