Il 31 agosto, il giorno dopo l’asta dei Btp di fine agosto (la prima dall’intervento della Bce sul mercato secondario del debito sovrano italiano e spagnolo), si è tenuto come di consueto un “collocamento supplementare” riservato agli specialisti. Il risultato dell’operazione, comunque modesta (cosa che giustifica in parte la scarsa eco della notizia), parla da solo: 9.378,5 milioni offerti, 1 (uno) milione collocato. È andata un po’ meglio per i triennali (51 milioni su 325 offerti) e per Ccteu (68 milioni su 100), anche perché a favore di questi ultimi gioca l’aumento dell’inflazione che favorisce le emissioni agganciate alla dinamica dei prezzi. Ma, come ben sanno gli operatori, il “benchmark”, cioè il riferimento dei mercati internazionali per misurare la salute e la credibilità di un Paese, è il titolo a dieci anni. E da quel punto di vista la due giorni di offerta dei titoli italiani a cavallo della presentazione della manovra ha offerto indicazioni tanto chiare quanto preoccupanti.
1. Il Tesoro ha sottolineato la nota positiva, cioè il fatto che il quantitativo offerto è stato interamente sottoscritto. Tralascia di far notare che: a) la richiesta in sede d’asta à stata pari ad 1,26 volte l’offerta, assai meno di quanto previsto; b) l’offerta del 30 agosto, pari a 4,5 miliardi, era stata ridotta all’osso dalla sapiente regia di Maria Cannata, la dirigente del ministero che difende in prima linea la diga del debito, nonostante che l’Italia avesse rinunciato all’asta di metà mese, a differenza della Spagna; c) il “flop”, pur previsto, dell’asta per specialisti dimostra la diffidenza con cui il mercato guarda alla “carta” italiana. Soprattutto dopo una manovra dai contorni contorti e confusi.
2. Nei prossimi quattro mesi il Tesoro dovrà finanziarsi per 134 miliardi. Una parte di questi quattrini arriverà dal mercato domestico. Bot , cct, Ctz e Btp con le scadenze più brevi saranno assorbiti probabilmente dalle famiglie, dalle banche e dai fondi più vicine al “sistema Paese”. Ma non è facile sostituire il ruolo dei mercati sul Btp 10, quello che misura lo spread con il Bund tedesco, cioè la distanza di credibilità dell’Italia rispetto alla locomotiva tedesca. Solo a settembre la richiesta complessiva sarà di 60 miliardi, per i tre quarti di Btp. Dati i chiari di luna sarà un’impresa ardua. Certo, l’Italia può anche emettere titoli con il contagocce sperando di poter contrare in futuro su una congiuntura meno impervia. Ma è bene non farsi illusioni: c’è una componente crescente di crisi domestica nel malessere italiano.
3. In queste set3timane è stato determinante l’impegno della Bce, che ha acquistato 22 miliardi di titoli sul secondario nella prima settimana di intervento, scesi poi a 14 nella seconda e a 6 nella terza. Il valore di quetso intervento lo si è visto con chiarezza in occasione dell’asta: alle 11 del mattino del 30 agosto un Btp rendeva il 5,06%; pochi minuti dopo, quando la Bce si è ritirata dal mercato per far spazio all’asta del Tesoro (Francoforte non può comprare, per statuto, titoli in sede di emissione) il rendimento è schizzato al 5,22%. Cosa accadrà se l’8 settembre, in occasione del vertice del direttorio della Banca centrale, i “falchi” chiederanno a Jean-Claude Trichet e a Mario Draghi di rivedere questa strategia? Lo stesso Trichet ha già sottolineato il carattere “temporaneo” degli interventi che non possono essere sostitutivi dell’azione di risanamento dei singoli Paesi.
4. L’Italia è solvibile, su questo non ci sono dubbi. Almeno finché reggerà il tesoretto delle famiglie. Ma l’Italia, vista con gli occhi dei mercati, ha un grosso problema di liquidità. Di fronte allo spettacolo della manovra, sia che si guardi alle piroette della politica sia al pressing delle categorie, non è difficile prevedere che a Francoforte tenda a prevalere la tesi per cui ogni sostegno all’Italia (vuoi gli acquisti di Btp, vuoi l’apertura sugli eurobond) ha come unico risultato di allontanare le misure necessarie.
5. Non è detto che la manovra debba per forza esser tutta “lacrime e sangue”. Ma occorre individuare una road map istituzionale che renda possibili in tempi non biblici una politica di tagli strutturali della spesa. Ma anche stimoli all’economia, favorendo gli ammortamenti accelerati delle aziende che possono investire. O utilizzando gli strumenti fiscali anche come leva di politica economica. L’aumento dell’Iva, che presto ci toccherà, non dev’essere per forza indifferenziato. Prendiamo esempio dalla Spagna, che ha dimezzato l’Iva sulle case. In un mercato dove non si vende nemmeno un monolocale, ridurre l’Iva del 5% può sevire a stimolare la domanda e a far incassare qualche quattrino in più oltre che a sostenere l’occupazione (in luogo degli ammortizzatori sociali).
Misure di questo genere, gestite con una bussola credibile, possono convincere i mercati assai di più di questa manovra che assomiglia ad un compito in classe alla rovescia: lo studente svogliato sa qual è il risultato finale (il saldo della manovra) ma non ha la più pallida idea dello svolgimento.