«L’euro senza un’effettiva unione politica tra gli Stati europei fa solo danni». Lo sostiene Paolo Savona, economista e Presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd), secondo cui la debolezza della moneta unica risiede nel fatto che dietro di sé ha molti Stati e non uno solo. Ciò che occorrerebbe è un cambiamento di mentalità dei governi europei per andare verso la sola soluzione possibile: gli Stati Uniti d’Europa con un unico governo finanziario, un esercito e una politica estera comune.
Savona, nel lungo periodo l’euro sopravviverà agli attacchi o si dissolverà?
Dopo tutti gli impegni che sono stati presi dai governi europei, che hanno sborsato anche cifre ingenti, non ritengo che l’euro possa dissolversi. Però i danni che produrrà in una situazione come questa saranno enormi. Il futuro di un euro che contribuisca, come erano le attese dell’inizio, alla coesione e allo sviluppo dell’Europa, dipende dal passaggio a una forma di unione politica e quindi alla solidarietà reciproca tipica delle organizzazioni statali moderne.
Da dove nasce il paradosso europeo, quello cioè di una moneta senza Stato?
L’euro è nato come un impegno per sperimentare insieme il trasferimento della sovranità monetaria statale in attesa di fare l’unione politica. Lo slogan di Roy Jenkins e Jacques Delors era “money first”, la moneta prima. Prima di che? Prima appunto dell’unione politica. Nel 1989, crollato il Muro di Berlino, i tedeschi hanno optato per l’unificazione facendo entrare nella Cee un’area importante come la Germania Est senza alcuna negoziazione né condizione. La contropartita era che la Germania rinunciasse al Marco e accettasse la moneta unica europea. Era un gesto politico, che però non ha trovato un completamento.
Quale può essere la risposta alla crisi della Grecia?
Di fronte a crisi come quella della Grecia, il resto del mondo capisce che l’euro non ha dietro di sé uno Stato. Altrimenti l’Ue si sarebbe comportata nei confronti della Grecia come si comporterebbe l’Italia nei confronti, poniamo, della Calabria: cioè pagando i suoi debiti per non farla fallire. Adesso invece è necessaria una lunga serie di negoziazioni, condizioni e vincoli. E questo significa appunto che manca uno Stato che reagisca dinamicamente agli attacchi speculativi.
Ma l’euro quantomeno non ha avuto l’effetto benefico di favorire i commerci tra gli Stati europei?
Fino a poco tempo fa sì, ma lo stesso non è avvenuto nei commerci intercontinentali. Purtroppo l’eccesso di dollari che finiva nelle mani dei cinesi era convertito in euro sul mercato. Questo rivalutava l’euro e quindi scoraggiava le esportazioni dell’area euro. Mentre la Bce si rifiutava di convertire i dollari in euro fuori mercato, come avrebbe dovuto fare, in modo tale che le conversioni cinesi non rivalutassero l’euro e non scoraggiassero quindi le nostre esportazioni. La Bce cioè, che aveva una mentalità tedesca, si comportava con criteri di ortodossia monetaria che il mondo moderno non reggeva.
L’unificazione politica dell’Europa è un obiettivo davvero fattibile?
Purtroppo allo stato attuale no, ma nello stesso tempo non si può abbandonare l’euro. E i danni che si dovranno pagare per questa situazione saranno crescenti.
Quindi è una situazione senza via d’uscita?
Senza via d’uscita se non cambia la mentalità politica dei governi europei. Ciò che occorrerebbe fare è introdurre l’elezione diretta del Parlamento Ue, creare un governo europeo e riorganizzare l’assetto dell’Europa con una formula federale. Va cioè seguita la stessa strada che alla fine del XVIII secolo hanno percorso gli Stati Uniti. Poi si può disquisire se preferiamo il modello federale degli Usa o quello confederale della Svizzera. Ma la realtà è sostanzialmente la stessa: occorrono una politica monetaria comune, una politica fiscale statale e si deve decidere quali altre funzioni può svolgere il governo centrale dell’Ue. In Svizzera, per esempio, la confederazione controlla le forze armate e la politica estera. È la direzione verso cui stava andando anche l’Ue, con la creazione del ministro degli Esteri europeo e l’ipotesi di una forza militare comune. Mettendo insieme difesa e politica estera, con tutte le conseguenze che questo comporta, si ha già una forma di Stato.
La Cina potrebbe favorire il salvataggio dell’euro, o in realtà punta a farlo cadere?
La Cina ha 3,2 trilioni di miliardi di dollari equivalenti, di cui il 20/25% in euro, e quindi non ha interesse che crolli nessuna delle due valute. Almeno finché il Renminbi non sarà pronto a prendersi l’eredità del dollaro, oppure finché, come proposto ufficialmente più volte dalla Banca Centrale del Popolo Cinese, non si passi a un diritto speciale di prelievo che svolga effettivamente la funzione di moneta internazionale.
Sempre che la nuova moneta internazionale non diventi il Renminbi …
Spero che ciò non avvenga, ma in ogni caso tutto ciò richiederà mutamenti molto profondi. La Cina deve liberalizzare i mutamenti di capitale, a lungo e a breve tempo, e rendere liberamente utilizzabile lo yuan Renminbi. Inoltre il mondo non ha bisogno di una moneta che riproponga le esperienze negative della sterlina prima e del dollaro poi. Dobbiamo uscire da una moneta nazionale che diventa moneta di riserva e creare i diritti speciali di prelievo, come fu proposto da J. M. Keynes nel corso della conferenza di Bretton Woods del ‘44.
In che cosa consisteva questa proposta?
L’idea era creare un’unità di conto, chiamata Bank Gold che sarebbe dovuta essere gestita direttamente dal Fmi e sarebbe diventata la Banca centrale dell’area occidentale. Dopo il 1944 si è lavorato per circa 24 anni a questo progetto. I diritti speciali di prelievo diventarono a loro volta un’unità di conto internazionale, ma quantità e tassi di interessi erano decisi non dal Fmi, ma dall’assemblea dei partecipanti, cioè dagli Stati. E anche l’ultima decisione di creare circa 250 miliardi di diritti speciali di prelievo impiegò anni per essere ratificata dai singoli parlamenti. La procedura adottata era troppo lunga perché i diritti speciali di prelievo potessero funzionare come moneta internazionale. La proposta di Bretton Woods è l’unica soluzione possibile, ma per renderla applicabile occorre che il potere di creare i diritti di prelievo passi al direttivo del Fmi.
(Pietro Vernizzi)