Giulio Sapelli, grande economista e storico dell’economia, mette ordine nel guazzabuglio di rumors e voci incontrollate sull’“improvviso” declassamento del debito italiano, arrivato nella notte tra lunedì e martedì, deciso dall’agenzia di rating Standar&Poor’s, quella che in piena estate ha dato un grande dispiacere al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sul declassamento del debito americano, togliendo, per la prima volta nella storia, la tripla A agli Usa. Si dice che la decisione sull’Italia sia arrivata come un fulmine a ciel sereno e che, di fatto, preceda il declassamento che sta preparando l’altra grande agenzia di rating, Moody’s.



Questa decisione di Standard&Poor’s è arrivata a sorpresa o no? E, più in generale, che significato ha?

Consideriamo un primo fatto. Non c’è alcuna sorpresa, diciamo pure che si sapeva e appariva scontata. Così come potrebbe essere scontata la decisione di Moody’s che è preannunciata entro trenta giorni. Ma il giudizio di Standard&Poor’s ha anche un significato politico. S&P’s è un’agenzia di rating vicina al Partito Repubblicano americano, cioè un punto di riferimento di quell’area politica. Tradotto in soldoni: il giudizio di Standard&Poor’s significa che il grande establishment repubblicano dà il via libera, oppure concorda con il piccolo establishment italiano nel via libera a liquidare il governo Berlusconi.



Cosa dovrebbe fare a questo punto il Premier?

A mio avviso Berlusconi dovrebbe dimettersi, visto l’andamento della situazione del Paese. Non lo farà e sbaglia. Ma ormai discutere politicamente in questo Paese diventa veramente complicato. Noi viviamo in un Paese a “intercettazione rappresentativa”. Dovremmo discutere solo di “intercettum”. Anche se siamo in una situazione per me molto difficile. Non escludo che alcune nostre grandi banche siano ormai nel mirino di scalate dati i valori quotati in Borsa. So che si muovono anche i Fondi cinesi. Il che dovrebbe far ripensare alla linea di alcune Fondazioni che si battono per l’italianità delle banche.



Standard&Poor’s sostiene come primo fatto che l’Italia soffre di una crescita troppo bassa…

Nel suo insieme è vero che l’Italia cresce poco, ma non è solo una caratteristica del nostro Paese in questo momento. Devo dire che il sistema industriale va ancora bene e l’export italiano del primo semestre ha superato quello tedesco. Ma il problema vero è che la bassa crescita italiana c’è dalla metà degli anni Novanta. Nel 1994 noi abbiamo fatto delle privatizzazioni senza liberalizzazioni che hanno danneggiato il nostro patrimonio imprenditoriale e hanno portato a un aumento della spesa pubblica e del carico fiscale. È dal 1996 che la pressione fiscale aumenta e, per onore di verità, tranne i due anni di Vincenzo Visco nel Governo Prodi, la pressione fiscale è sempre cresciuta. Invece, il governo “liberale” di Berlusconi è riuscito a portare la pressione fiscale al 44,5% del Pil, cioè al massimo della storia italiana, con un timbro di stampo peronista.

 

Cosa pensa invece del giudizio dell’agenzia di rating sullo scenario politico italiano?

 

Mi convince poco il giudizio di S&P’s sull’instabilità politica. Io penso agli anni Cinquanta e Sessanta, con governi democristiani che cambiavano tre volte all’anno. Ma la crescita c’era eccome.

Secondo lei, quali possono essere i meccanismi di crescita?

I meccanismi di crescita sono spontanei. Tutte le politiche economiche hanno portato solamente a delle complicazioni o addirittura a dei disastri. I presupposti dei meccanismi di crescita sono almeno quattro: 1) basso carico fiscale; 2) libertà d’impresa; 3) alti salari; 4) buona istruzione tecnico-scientifica. In altre parole, riguardo a quest’ultimo punto: poche università e molti istituti tecnici. Magari con molte biblioteche dove si possa leggere anche Platone.

 

Piccola digressione: che ne pensa del piano presentato da Obama?

Ho letto che è stato criticato da Carlo Pelanda. Io sostengo che è un piano keynesiano che può immettere tanta liquidità. E questo non va disprezzato in un momento del genere.

Se dovessi chiederle qual è la vera credibilità che è rimasta all’Italia, lei cosa risponderebbe?

La vera credibilità sta nelle capacità personali degli italiani. È la loro grande risorsa, la loro grande riserva. Noi non sappiamo unire questa grande capacità personale al fattore organizzativo. Se lei guarda in giro per il mondo, può notare che quando un italiano viene intercettato da una grande organizzazione internazionale diventa immediatamente un “numero uno”. È un problema complesso. Si è persa una grande scuola, quella dei Beneduce, dei Felice Balbo che hanno gestito bene le partecipazioni statali, fino a che sono intervenuti i partiti e lentamente hanno rovinato tutto.

(Gianluigi Da Rold)

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