È come di consueto lucidissimo Antonio Quaglio, caporedattore de Il Sole 24 Ore. Mastica finanza come pochi altri in questo ormai sventurato Paese, dove Standar&Poor’s sta abbassando rating a più non posso. Dopo il downgrade sul debito pubblico, S&P’s non ha risparmiato le più grandi banche italiane, tranne Unicredit perché era già stata degradata.
Che ne pensa di questo ultimo “regalino” che ci arriva da oltreoceano?
In se stesso, visto freddamente non è che un fatto tecnico. Dopo il downgrade al Paese non poteva che arrivare alle più grandi realtà finanziarie. È un allineamento, chiamiamolo così. Certo, non fa piacere, perché poi queste sette banche (Intesa San Paolo, Mediobanca, Findomestic Banca, le Banca Imi, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo, Cassa di risparmio di Bologna e Bnl) peggiorano la situazione nella loro provvista. Insomma, peggiora la provvista sul mercato. Pagheranno qualche cosa di più per la liquidità necessaria. E poi non aiuta di certo la Borsa sul merito del credito, in azioni e obbligazioni, Si ripete, si allinea, a livello di banche quello che accade per lo Stato: devi pagare di più e devi offrire maggiori interessi. Insomma, da Standard&Poor’s è arrivato un giudizio sull’intero sistema.
Il downgrade ha colpito anche Mediobanca, che proprio ieri ha detto di avere un coefficiente “tier 1”, pari a 11,2.
Così è. Mediobanca avrà quel coefficiente, ma in questo momento per il rating che arriva dagli Usa il giudizio è identico a quello delle altre banche italiane.
Ma sono mese così male le nostre banche?
Resto dell’idea, così come tre anni fa, che non sono affatto peggio delle altre banche europee e americane. In taluni casi, aggiungerei un “anzi”. In Borsa picchieranno in basso, ma così come non sono fallite tre anni fa non falliranno in questo periodo complicato. Molte hanno ricapitalizzato, senza chiedere soldi allo Stato, così come aveva consigliato Mario Draghi quest’anno al Forex. E sono poche quelle che, dopo la crisi del 2008, sono ricorse ai cosiddetti “Tremonti bond”. Certo si trovano in un momento difficile. Con la recessione aumenteranno le sofferenze. Ma non si può dire, ad esempio, che le banche francesi stiano meglio. Si pensi solamente alle “botte” che hanno dato nelle settimane scorse Societe Generale, a Credit Agricole e alla stessa Bnp-Paribas.
Si può pensare che in un certo senso stiano meglio le nostre banche.
Io sostengo che le banche italiane stiano meglio di due anni fa. È vero che danno poco credito, soprattutto alle piccole imprese e poi aumentano i servizi bancari. Non c’è dubbio che stanno facendo pesare questa necessaria stabilizzazione alla clientela. Ma non si può dire che le nostre banche siano al disastro. Questa è un’autentica maxiballa.
E non siamo nemmeno in una situazione di credit crunch come avvenne invece dopo il fallimento di Lehman Brothers?
È vero non si può parlare di credit crunch in questo momento. Certo è difficile capire fino a quando andrà avanti questa situazione finanziaria complicata e problematica. Vedo che in America, il presidente della Fed, Ben Bernanke, sta mettendo in atto una serie di operazioni, come quella annunciata ieri “Twist” per immettere liquidità nel sistema. Anche la Bce farà le sue mosse. Non è che si può tutelare solamente l’inflazione sotto il 2%. Quando Mario Draghi si insedierà, credo che un passaggio che non preveda solo la tutela scrupolosa dell’inflazione sarà fatto.
Ci sono però complicazioni sull’euro, sulla Grecia, che possono protrarre questa situazione?
Penso che tra poco il problema greco sarà risolto. Non so dire in che modo. Può anche darsi che si scelga l’uscita della Grecia dall’euro, per vedere che cosa può accadere in un caso simile. Può essere un esempio per vedere come funzionano le cose. È evidente che sull’euro ci sarà una rinegoziazione generale.
C’è un’impressione in giro: che alcune nostre banche, visti i valori attuali sono a rischio scalata. Due esempi su tutti sembrano Unicredit e Banca Popolare di Milano…
Effettivamente questo rischio lo vedo anche io. E lascia un poco l’amaro in bocca a circa venti anni dalle famose privatizzazioni.
(Gianluigi Da Rold)