Sembra che Diego Della Valle abbia fatto un passo “da gentiluomo di altri tempi”. Pur essendo salito all’ 1,9 nel capitale di Mediobanca non disturba Jonella Ligresti, fa un passo indietro nei confronti di “una amica di lunga data” e degli altri membri del Gruppo B (i soci industriali) e rinuncia a entrare nel board. Bisognerebbe conoscere fino in fondo le intenzioni di mister Tod’s. Oggi in piazzetta Cuccia è un rampante, sono passati i tempi quando Vincenzo Maranghi, il pupillo di Enrico Cuccia, gli faceva fare la coda sulle poltrone in similpelle della banca d’affari migliore d’Europa.
Quindi Della Valle può anche permettersi il “beau geste”, ormai su poltrone in velluto rosso, che probabilmente sarà compensato da un incremento della sua quota in Rcs-Corriere della Sera, dove forse è più interessato. E’ questo l’unico colpo di teatro della maxi-riunione di “patto”, direttivo e consiglio di amministrazione?
C’è una new entry nel Gruppo C (i soci stranieri). Garantisce il capofila, Vincent Bolloré, il finanziere bretone che controlla l’11 percento del capitale. A entrare sarà una signora: “E’ francese, donna, ha fatto un eccellente carriera sia nel settore pubblico che nel settore privato ed è indipendente”. Sostituirà di fatto un “monumento” della finanza europea, l’ex presidente di Generali e vecchia scuola “Maison Lazard”, Antoine Bernheim. I rumors anticipati sono stati confermati: si tratta dell’ex ministro per il commercio estero di Parigi, Anne Marie Idrac.
C’è un’altra signora che arriva nel board. E’ Elisabetta Magistretti, indipendente, che insieme a Angelo Calò, presidente del “patto di sindacato” si affiancherà ai soci industriali già presenti: Marina Berlusconi, Marco Tronchetti Provera, Gilberto Benetton e Carlo Pesenti.
Nel Gruppo A (quello dei finanziari), nessuna novità se non quella dell’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, che si affianca al presidente Dieter Rample e a Fabrizio Palenzona (vicepresidente di Unicredit) ma nel board di piazzetta Cuccia presente come indipendente. Poi, nel gruppo C, la pattuglia estera capeggiata da Bollorè, con l’indipendente Tarak Ben Ammar, esce Jean Azema ed entra, per Groupama, il giovane Pierre Lefevre.
Di fatto, visti i rapporti di forza e soprattutto il complicato “dopo-Geronzi”, con code e polemiche intorno a Generali, per la vicenda della “put” del valore di circa tre miliardi di euro rilasciata a favore del finanziere ceco Kellner, il management di Mediobanca (Renato Pagliaro, Alberto Nagel e il direttore generale Francesco Saverio Vinci) va verso una riconferma che dovrebbe superare anche l’appuntamento canonico del 28 ottobre, cioè la tradizionale assemblea dei soci.
A leggere i conti, visti i tempi che corrono, non c’è che da fare apprezzamenti. In calo l’utile di esercizio, ma di poco. Il dividendo è fissato ancora a 0,17 euro. Migliorano i ricavi trainati dal retail e dal private banking. Il coefficiente “tier 1” sale all’11, 2, così come l’utile lordo che sale del 28 percento. Ci sono due svalutazioni abbastanza pesanti: i titoli greci per un totale di 109 milioni di euro e la partecipazione in Telco che ammonta a circa 120 milioni di euro. Ma indubbiamente, rispetto al panorama italiano, non solo europeo, la banca è solida.
Ma c’è il problema Generali, cioè la “perla triestina” che ha sempre costituito l’asse storico con Mediobanca della “galassia del Nord”. Lì, proprio a Trieste, c’è un passato di pesanti contrapposizioni non solo tra Cesare Geronzi e l’attuale management di piazzetta Cuccia, ma tra il gruppo francese di Bollorè e l’attuale management.
Al momento sembra che sia stato raggiunto un accordo, un modo di convivenza. Ma la sensazione che nei prossimi mesi gli equilibri raggiunti possano essere compromessi c’è, secondo voci e indiscrezioni. Qualcuno dice: “Meglio parlare di pace armata”, tra management e la maggioranza degli azionisti.