“Una bufala da 3mila miliardi”. Potrebbe titolarsi semplicemente così questo articolo, ma la situazione è troppo grave per scherzarci su e tagliare corto: occorre capire fino in fondo. Partiamo dal principio quindi.

Ammetto che quello appena terminato sia stato un fine settimana stressante: mi ero ripromesso di leggere più giornali possibili e di guardare tutti i telegiornali per avere un’idea chiara di quali messaggi siano giunti al pubblico italiano rispetto a quanto emerso e deciso al G20 e alla riunione del Fmi a Washington. Più o meno, l’informazione è stata univoca e corretta, ancorché come al solito mainstream e lacunosa: l’America ci ha imposto l’ampliamento del fondo Efsf attraverso l’uso della leva come proposto due settimane fa all’Ecofin in Polonia dal segretario al Tesoro, Tim Geithner, e tutti i presenti hanno convenuto riguardo la necessità di agire in fretta e in modo coordinato per evitare che il “possibile” default greco si trasformi in un domino a cascata che travolga prima l’Europa e poi il mondo, rispedendolo in recessione.



Come già etto, nulla di falso. Anzi. A Washington si è effettivamente deciso di creare un nuovo veicolo esterno all’Efsf che doterà lo strumento con 200-300 miliardi di euro. Il veicolo, inoltre, avrà la possibilità di operare a leva fino a dieci volte la dotazione iniziale – dunque fino a 2-3mila miliardi – appoggiandosi alle Bei, la Banca europea per gli investimenti, che procederà con l’indebitamento diretto sul mercato per finanziare il veicolo. A quel punto – forte di 2-3mila miliardi potenziali – il veicolo sarà a disposizione dell’Efsf che li distribuirà ai singoli Stati nel momento in cui dovessero esserci crisi di liquidità o finanziamento. Insomma, un enorme cdo sovrano, proprio quello che ci voleva visto il ruolo tutt’altro che secondario ricoperto da questi strumenti nella crisi subprime che tutto ha generato.



Altrettanto vere, poi, le promesse di tutti i leader e ministri riguardo un rinnovato e serio impegno comune (e con questa siamo a quota trentadue volte che sentiamo queste promesse). Sono molte altre, però, le cose che non sono state dette. Eccone alcune. «Sta per arrivare il momento che la Bce la smetta di acquistare i titoli di Stato dei paesi in difficoltà», ad affermarlo, nel corso di un seminario organizzato a margine dei lavori del Fondo monetario internazionale, l’esponente del direttivo della Bundesbank, Joachim Nagel. Come dire, settimana scorsa (a fronte di quota 152 miliardi già spesi sul mercato secondario) ci siamo svenati ancora una volta per tenere il vostro spread sotto quota 400, ora i soldi a disposizione – oltre che la pazienza tedesca – stanno finendo.



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E questa settimana abbiamo due emissioni da parte del Tesoro, stamattina zero coupon e giovedì Btp a medio e lungo termine. Vedremo quanto ci chiederanno i mercati per piazzare il nostro stock di debito. E cosa non ci hanno detto, poi? Ad esempio, che il G20 si sta ufficialmente preparando a un default greco dopo ottobre. Che tutti gli sforzi dietro le quinte del vertice non erano più per evitare la bancarotta ellenica, ma per ricapitalizzare le banche e preparare le altre economie al botto greco. Addirittura, ci sarebbe una sorta di struttura tecnica nascosta che farebbe in modo, con finanziamenti d’emergenza e altri “magheggi” a cura di Fmi e Bce, di evitare il default prima del G20 di Cannes previsto per il 4 novembre.

Vi assicuro che non ero a Washington questo weekend, ero a casa mia con mia moglie: mi è bastato consultare SkyNews e la corrispondenza dell’inviato Ed Conway. Non mi sembrano notizie da poco: non solo la Grecia è ufficialmente fallita per tutti (non a caso ieri il portavoce del commissario Ue per gli Affari economici ha dichiarato che «la decisione sulla prossima tranche di aiuti alla Grecia, attesa per l’Ecofin del 3-4 ottobre, slitta ancora»), non solo mentre ci raccontano le panzane della trojka che deve tornare ad Atene e passa nottate intere in conference call con il ministro delle Finanze ellenico, le autorità finanziarie mondiali stanno preoccupandosi di puntellare le economie e ricapitalizzare le banche, ma, addirittura, Atene sarà mantenuta in vita artificialmente con fondi emergenziali a babbo morto per non rovinare il vertice di Cannes. Durante il quale verrà ovviamente presentato il piano di gestione della bancarotta con petti in fuori e grandi foto ricordo, dopo che questo verrà scritto fa Usa e Fmi e la Germania avrà dato il via libera a cose fatte alla strategia in due parti per blindare Grecia, Portogallo e Irlanda e prevenire il contagio.

Eccone i dettagli. Le banche europee verranno ricapitalizzate per decine di miliardi di euro per rassicurare i mercati che un default greco o portoghese non si sostanzierà in una crisi finanziaria sistemica. Il piano di rifinanziamento andrà ben oltre i 2,5 miliardi di euro richiesto dai regolatori per gli stress tests europei di luglio, avrà come principali protagonisti gli istituti di credito francesi e servirà anche a puntellare le economie, evitando rischi di contagio. Domenica funzionari di Fmi-Ue-Bce si dicevano fiduciosi che le banche sarebbero state in grado di ricapitalizzarsi privatamente sul mercato, ammettendo che se questo non fosse stato possibile – o richiedesse lacrime e sangue – allora la ricapitalizzazione sarebbe avvenuta per mezzo degli Stati o dell’inesistente, ad oggi, fondo Efsf con i suoi 440 miliardi di euro (qualcuno sa di Stati che hanno ratificato non solo il suo ampliamento, ma, addirittura, la sua attivazione? Lasciate poi stare la bufala circolata ieri del mega-piano da 3mila miliardi, il quale semplicemente non esiste ed è stato evocato solo a uso e consumo delle Borse, oggi forse prospetteranno l’intervento di Batman o Superman per mantenere in vita i titoli delle banche francesi).

Secondo step, l’ampliamento e rimodellamento dell’Efsf come prima descritto, ovvero attraverso un veicolo esterno e l’utilizzo della leva fino a 2 trilioni di euro. Possibile? A oggi, il fondo salva-Stati non può finanziare entità diverse dai governi. Difficile, quindi, passare per la Bei per realizzare l’effetto-leva. Ma anche la Bce ha impedimenti regolamentari. Resta quindi la possibilità che questi 2-300 miliardi vadano direttamente alle banche. Le quali, usandoli come una polizza assicurativa, potrebbero emettere fino a 1500 miliardi di euro di debito, con la garanzia di una copertura di eventuali perdite fino al 20%. Ma l’Efsf non può prestare direttamente nemmeno alle banche, forse lo potrà fare attraverso i governi.

Insomma, come al solito un gran casotto e niente più. Peccato, poi, che l’accordo per giungere a questa finalità appare molto complesso e, soprattutto, esige la violazione di una mezza dozzina fra Trattati comunitari e leggi nazionali, tedesche in testa. Il progetto, fotocopia esatta di quanto proposto quindici giorni fa da Geithner in Polonia e sdegnosamente rispedito al mittente dai ministri delle Finanze Ue, presuppone che l’Efsf fornisca una tranche di equity “sorreggi-perdite” per ogni fondo di salvataggio e la Bce il resto di debito protetto. Se l’Efsf copre il primo 20% di ogni perdita, l’accumulo di capitale d’emergenza del fondo viene effettivamente innalzato a 2 trilioni di euro. Se invece l’Efsf copre il primo 40% di ogni perdita, il fondo sarà in grado di dispiegare 1 trilione di euro.

Utilizzare la leva in questo modo permetterebbe ai governi di incrementare le risorse a disposizione dell’Efsf senza dover chiedere ogni volta l’approvazione ai vari parlamenti nazionali, un qualcosa di molto problematico visto che Austria e Slovenia hanno già bocciato l’ampliamento del fondo e il Bundestag tedesco voterà giovedì in un clima di netta contrapposizione all’interno del governo tra Cdu e Liberali. Quindi, una sconfitta su due fronti per la Germania: farsi dettare la linea dagli Usa e vedere le proprie prerogative sovrane cestinate senza alcun tipo di ratifica o modifica a livello di legislazione interna o comunitaria.

Peccato che, come sempre, in cauda venenum. La Germania sembra infatti aver accettato soltanto ottenendo un default controllato della Grecia che contempli però la permanenza del Paese nell’Ue: in base ai diktat di Schauble, i creditori del settore privato dovranno accettare perdite per almeno il 50% e non per il 21% attualmente sul tavolo, visto che i rendimenti folli di bond greci annuali e biennali parlano la lingua di istituti bancari tedeschi che hanno svenduto le obbligazioni elleniche che detenevano a qualsiasi prezzo e ora sono più “leggeri” e in grado di affrontare gli haircuts senza timori.

Un po’ più ardua, invece, è la situazione delle banche francesi (di qui i rumors del weekend di una loro ricapitalizzazione d’urgenza per 15 miliardi di euro, con l’intervento dello Stato), le quali non solo sono esposte per miliardi al debito greco, ma sono anche le principali detentrici del nostro debito. Il problema, ora, è tutto politico: per quanto gli Stati, in nome dell’emergenza, si lasceranno scavalcare da organismi sovra-nazionali non eletti che decidono dei soldi dei contribuenti europei? In punta di diritto, infatti, nessuna di queste operazioni è attuabile senza la ratifica da parte dei Parlamenti sovrani e riforme delle stessa Costituzione europea, quindi di referendum nazionali nell’Ue. La democrazia e la sovranità, insomma, sono divenuti sgradevoli e scomodi optional da sacrificare sull’altare dell’emergenza: il problema di un debito come quello greco che ammonta a soli 330 miliardi di euro, il 3% rispetto a tutta l’Eurozona, potrebbe necessitare del commissariamento di Washington e della calpestio di ogni nostro diritto di cittadini per essere risolto. Questo dovrebbe dirvi molto della statura politica dell’attuale classe dirigente europea. E anche del fatto che in Germania stanno pensando a un’opzione shock.

A Berlino, infatti, si lavora su due scenari. Primo, partendo dal presupposto che l’area euro potrebbe disintegrarsi, visto che, nonostante le blindature richieste, un default senza espulsione dall’unione monetaria ha poco senso, occorre scegliere chi se ne andrà. Se i paesi dell’Europa periferica andranno in default uno dopo l’altro e saranno costretti a lasciare l’euro, il rischio è quello di una bank run generalizzata e devastante, con correntisti che prelevano ogni centesimo e cercano di depositarlo in nazioni più sicure, di fatto portando con loro il contagio attraverso le esposizioni e le detenzioni (il timore chiaramente evocato nel weekend da Tim Geithner).

Secondo, la Germania decide di lasciare l’Eurozona e tornare al marco, di fatto “tranquillizzando” i risparmiatori dei paesi Piigs, i quali non saranno tentati di lanciarsi verso una nuova moneta e manterranno i depositi nelle loro banche. A quel punto l’euro si svaluterà, aumentando la competitività delle nazioni in difficoltà e lasciando ai tedeschi l’onere di convivere con una moneta forte, un qualcosa a cui sono abituati dai tempi del “serpentone” monetario. Nei fatti, a Berlino pensano che questo scenario sarebbe il meno devastante e pericoloso per l’Europa e la sua tenuta.

Ma come farebbe Berlino ad attrezzarsi a un’uscita dall’euro in tempi rapidi? Volendo essere pratici, quanto ci vorrebbe a stampare tanti marchi sufficienti all’adozione di una nuova-vecchia valuta da inserire sui mercati? Durante la Guerra Fredda, miliardi e miliardi di marchi tedeschi di nuovo conio vennero nascosti in un bunker segreto sotto una villa vicino a Francoforte, nel caso i russi avessero cercato di destabilizzare l’economia della Germania Ovest inondandola di marchi contraffatti: in questo modo, la Bundesbank avrebbe potuto rimpiazzare i falsi con i veri in brevissimo tempo. Non vi pare che i tedeschi siano gente così pragmatica da attrezzarsi a un evento devastante ma possibile come la disintegrazione dell’euro?

Niente paura, tutti quei marchi furono distrutti nel 1988, dopo venticinque anni di meticoloso nascondiglio. Non è una fantasia della mia fervida immaginazione: la conferma dell’avvenuta distruzione la diede nel 2010, 22 anni dopo, lo Spiegel con un ampio servizio corredato di foto delle banconote e del caveau-bunker. Qui, però, sorge un dubbio: quei marchi furono davvero distrutti oppure la Germania aveva bisogno di dimostrare ai propri partner (i quali ovviamente sapevano di quella mega riserva valutaria segreta) che, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, la sua adesione, ideale e politica, all’euro era totale e incondizionata?

Il muro di Berlino, infatti, crollò nel 1989 e nell’ottobre di quell’anno Erich Honecker era ancora al potere a capo della Ddr: all’epoca, infatti, il timore principale delle cancellerie europee degli Usa era che le truppe russe potessero dar vita a una nuova Primavera di Praga, sopprimendo la rivolta di chi cominciava a chiedere libertà e riunificazione. Non vi pare strano che a fronte di un’escalation simile, a rischio di guerra mondiale, il Bundestag abbia valutato così bassa la possibilità di una reazione moscovita da distruggere quel tesoro gelosamente custodito per venticinque anni? Non è che quei soldi o non sono mai stati distrutti o lo sono stati in parte, con altri ristampati in segreto e con la scusa della minaccia moscovita pronta da usare quando Berlino dirà addio e la Bundesbank dovrà dare qualche spiegazione ai partner? Solo fantapolitica? Con ogni probabilità, anzi quasi al 100%. Ma lo dicevano anche del crac Lehman Brothers e del default greco, negato fino a sabato scorso da tutti i leader europei quando invece è realtà da almeno due mesi.

Io so soltanto una cosa: ieri, nonostante le Borse euforiche per la balla da 3mila miliardi, la liquidità europea è rimasta come al solito in prima linea, con il Libor su dollaro a 3 mesi in ulteriore ampliamento, come ogni singolo giorno da tre mesi a questa parte, da 0,360 a 0,363 per cento. Risultato che ha portato i cds sovrani di Germania, Francia e Belgio ai loro massimi storici, rispettivamente 111, 201 e 301 punti base. Le bugie, si sa, hanno le gambe corte.

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