Il quotidiano tedesco Handelsbatt ha provato la sua “operazione verità” cercando di minare la credibilità della Germania per quel che riguarda il debito pubblico. I dati ufficiali per il 2011, dicono che si attesterà all’85% del Pil (in crescita dall’83,2% del 2010), ma il giornale teutonico è convinto che prendendo in considerazione anche le spese per le pensioni, la sanità e l’aiuto alle persone non autosufficienti, il dato salirebbe al 185%, vicinissimo al 186% della Grecia. Dunque Berlino non dovrebbe ergersi a paladino del rigore dei conti.



A Ugo Arrigo, Docente di Finanza Pubblica all’Università di Milano-Bicocca, questo computo ricorda un dibattito tutto italiano degli anni Novanta, quando collaborava con Palazzo Chigi e il ministero del Tesoro: «Allora – ci spiega – ci si chiedeva come guardare al debito previdenziale, che può essere visto come un debito che lo Stato ha verso tutti gli attuali titolari di pensione che non si esaurisce finché ci sono cittadini che ne hanno diritto. Io ritengo che abbia una natura giuridica ed economica differente dal debito pubblico “tradizionale”». Il perché è presto detto: «Il debito pubblico “ordinario” esiste perché lo Stato chiede in prestito fondi sul mercato privato (attraverso i titoli di stato), obbligandosi a restituirlo con un tasso di interesse. Tutti gli altri debiti sono fatti da prestazioni future rivolte ai cittadini e possono consistere in erogazione di denaro (pensioni) o di servizi (sanità e welfare). Questo secondo tipo di debito viene coperto nel tempo attraverso la tassazione. Questo vuol dire che se vogliamo calcolare come l’Handelsbatt il debito “futuro” dovremmo anche calcolare le entrate che lo Stato pensa di incamerare in base al proprio sistema fiscale».



La vera questione non è più quindi il livello della spesa, ma la sua sostenibilità. «Per questo è sufficiente che ogni anno ci sia equilibrio tra entrate e spese pubbliche». L’errore del quotidiano tedesco non è solo questo. «Innanzitutto ogni Paese ha quel tipo di debito “futuro” e quindi bisognerebbe calcolare quanto è in Grecia prima di fare un raffronto tra le casse pubbliche di Berlino e di Atene. Inoltre, i diritti alle prestazioni dei cittadini non sono contratti sul mercato, ma regolati dalla legge. Quindi il legislatore, nel caso si accorga che il peso della spesa sta diventando insostenibile, potrebbe anche ridurre le pensioni anche a chi già la riceve attraverso una nuova legge».



Ma al di là dei calcoli dell’Handelsbatt, la Germania può essere ritenuto un Paese solido per quel che riguarda la sua capacità di contenere il debito pubblico? «Il debito è garantito dal sistema economico. In questo senso la capacità di crescita della Germania e il suo livello di Pil non danno adito a sospetti. La miglior dimostrazione di questo è poi data dal basso rendimento che danno i titoli di stato tedeschi rispetto a quello degli altri paesi europei. Anche se va detto che una recente classifica stilata dal settimanale The Economist sul rischio insolvenza dei paesi dell’area Ocse segnalava agli ultimi posti i paesi scandinavi». Qual è il loro segreto? «Innanzitutto hanno un rapporto debito/Pil che oscilla tra il 40% e il 45% ben al di sotto dei parametri di Maastricht (60%, ndr). Questo spiega anche perché i loro titoli di Stato non siano tra i “preferiti” dei mercati: ne emettono una quantità ridotta. Poi, nonostante abbiano usato “ricette” a base di mercato e concorrenza, restano dei paesi che credono molto nell’interventismo dello Stato nel campo del welfare. Ma hanno sempre scelto di non farlo mai a debito».

 

(Lorenzo Torrisi)