«Dell’eurotassa sulle transazioni finanziarie non sono tanto importanti le aliquote o il gettito: si tratta invece di un passo politico molto deciso, giustamente enfatizzato dal presidente della Commissione Barroso». Antonio Quaglio, caporedattore del Sole 24 Ore e responsabile di Plus 24, aveva pochi dubbi sul varo della Tobin tax europea, presentata oggi da Barroso al Parlamento europeo e che prevede un prelievo dello 0,1% sugli scambi in azioni e bond e dello 0,01% su strumenti derivati. Il gettito, a partire dal 2014, è stimato fra i 30 e i 55 miliardi di euro.



«La Merkel e Sarkozy – dice Quaglio – avevano interrotto le vacanze a Ferragosto per affrontare le nuove tensioni sull’Eurozona, legate anche agli attacchi speculativi ai Btp italiani. La scelta del direttorio franco-tedesco di autorizzare la Bce a sostenere sul mercato i bond sovrani dei paesi meno solidi dell’euro era stata accompagnata da due condizioni».



Quali?

All’interno di Eurolandia, l’Italia (non diversamente dalla Grecia e dalla stessa Irlanda nel recente passato) doveva varare reali misure di austerità e allineare strutturalmente le sue finanze pubbliche agli standard medi dell’Eurozona. Sul versante esterno, il preannuncio della tassa sulle transazioni ha simboleggiato la volontà effettiva dei governi europei di voler arginare gli eccessi della speculazione finanziaria e le resistenze di banche e mercati a voler rivedere i loro comportamenti dopo la grande crisi.

La politica dunque sta cercando di riguadagnare il primato sul libero mercato finanziario?



Sono ormai quattro anni che i governi nazionali e le istituzioni sovranazionali – anzitutto in Europa – sono in perenne emergenza; prima per la crisi bancaria dopo il fallimento della Lehman Brothers, poi per il dissesto della Grecia. E gli elettorati sono sotto stress non meno dei loro governanti: risparmi andati in fumo, case pignorate, perdita di posti di lavoro, più tasse, meno welfare. Banche e Borse, invece, grazie anche alla liquidità garantita da governi e banche centrali, non solo si sono salvate ma hanno continuato a realizzare profitti anche sulle turbolenze seguite alla crisi. Ora è vero che l’Italia, ad esempio, ha accumulato un debito elevato, ma gli sbalzi dello spread nelle ultime settimane non ha riflesso soltanto il più basso merito di credito-Paese: è stato il risultato di un “tema di mercato” che i grandi intermediari hanno individuato, assieme a quello (ancor più eclatante) delle banche. Ecco: la “Tobin tax”, in estrema sintesi, è una “addizionale” o una “patrimoniale” che Stati e sovra-Stati stanno imponendo a un’infrastruttura economica che sta creando troppi squilibri.

In che senso?

È una forma di pressione e di sanzione su banche e mercati che hanno già fatto pagare oneri elevati ai cittadini, ai contribuenti, ai lavoratori, ai consumatori, ai pensionati. La finanza globale non può pretendere di essere totalmente “offshore”, completamente autonoma e apolide, tenendo in ostaggio la società e l’economia reale: basti pensare alle polemiche sulle agenzie di rating che, ultimamente, hanno voluto giudicare perfino lo stile di governo del presidente degli Stati Uniti. Tuttavia la partita è solo all’inizio.

Quali saranno le conseguenze prevedibili?

Quando Barroso ha duramente replicato agli attacchi dell’amministrazione Usa nel corso dell’ultimo G20 ha individuato il fronte di opposizione principale alla Tobin tax e alla sua logica politica: il sistema finanziario anglosassone. Quello stesso che – lo ho amaramente notato anche Lugi Zingales, economista liberista di Chicago – ha lasciato che si producessero tonnellate di documenti analitici sulla crisi finanziaria, ma ha neutralizzato qualsiasi tentativo di riforma effettiva di banche e mercati, nel senso della riduzione e del controllo dei rischi sistemici. La Tobin tax solo in Europa, di per sé, introduce un oggettivo svantaggio competitivo per l’industria finanziaria del Vecchio Continente, ma proprio in questo sta la sua provocazione macro-politica. Allontanare gli scambi finanziari dall’Europa non è affatto difficile.

 

In che modo?

 

La tecnologia consente, in teoria, di costruire grandi Borse “offshore” ed esistono già le “dark pools”, Borse non regolamentate che consentono a pochi operatori di negoziare tra di loro grandi partite all’ombra totale di qualsiasi occhio. Ma il sistema bancario europeo eluderebbe nella sostanza l’input dei suoi regolatori? Che non è “basta con il mercato e la speculazione”, ma “basta con un’industria finanziaria che vuole imporre le sue illimitate esigenze di redditività a breve termine alla stabilità dell’economia reale”. In ogni caso, in democrazia, il cittadino europeo è libero e responsabile: starà alla fine a lui decidere se per lui è più importante massimizzare la redditività dei suoi risparmi o capitali (se ne dispone) oppure riequilibrare l’economia nel suo complesso, al prezzo di avere un sistema bancario e finanziario meno “esuberante”, meno “turbo” di quanto è stato nella fase ascendente della globalizzazione.