L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti alla fine del seminario sulle dismissioni tenutosi al ministero del Tesoro. “Con oggi prende avvio una grande riforma strutturale per la riduzione del debito e per la modernizzazione e la crescita del Paese”. Secondo quanto detto al seminario, dalla “cessione di immobili pubblici si possono ricavare per la riduzione del debito 25-30 miliardi di euro, mentre dalla cessione dei diritti di emissione Co2 altri 10 miliardi”. Sempre secondo quanto detto, da questo piano di valorizzazione del patrimonio pubblico si otterrà, una volta che si sarà a pieno regime, e cioè nel 2020, una riduzione annua del deficit di 9,8 miliardi.
“Intanto da quanto si legge oggi sui giornali e dai comunicati diffusi non si capisce se Tremonti voglia cedere o valorizzare il patrimonio pubblico” dice il Professor Giulio Sapelli, Docente di Storia economica all’Università di Milano, a IlSussidiairo.net. “Sono due cose diverse, quella che leggiamo oggi da parte del ministro Tremonti è una dichiarazione che non regge e questo genera grave confusione negli operatori italiani e stranieri”. In che senso sono due cose diverse? “Il cambiamento dei diritti di proprietà, l’allocazione dei diritti di proprietà, questo significa valorizzare: lo Stato continua a essere proprietario ma valorizza consentendo, ad esempio, che dentro a un museo si apra una caffetteria, o che di tanti immobili dati agli enti locali si prendano le parti più pregiate e si facciano alberghi”. Sapelli fa l’esempio di quanto fatto in passato in paesi come Spagna e Portogallo: “Due Paesi con forme di autoritarismo non diverse dal fascismo, ma probabilmente più intelligenti, avevano creato le posadas. Erano forme di valorizzazione del patrimonio artistico: in tutti i palazzi di proprietà dello Stato che avevano un interesse turistico avevano fatto degli alberghi, ma non di “tipo sovietico”, ma alberghi di Stato bellissimi. Lo Stato ha ottenuto un guadagno e poi circa 30 anni fa li hanno privatizzati. Per certi versi è meglio valorizzare: in tal modo, infatti, lo Stato non incassa una tantum, ma ha entrate per tutto il tempo in cui valorizza l’immobile”.
Per Sapelli quella proposta non è una riforma strutturale come viene definita dallo stesso Tremonti: “Il ministro dovrebbe usare un buon dizionario e dire che dimissione e valorizzazione sono due cose diverse. Vendere, poi, non è fare riforma strutturale, che si avrebbe invece se dalla dismissione di una proprietà pubblica si ottenessero fondi da investire nella creazione di una nuova industria di Stato, ad esempio nelle alte tecnologie, che manca al nostro Paese. O per fare qualcosa che impedisca al debito pubblico di risalire. Quello che propone Tremonti è invece non è nulla di diverso da quello che hanno fatto Ciampi e Prodi con effetti disastrosi per l’economia di Stato, perché hanno venduto per eliminare il debito pubblico, ma questa eliminazione è durata lo spazio di un mattino e poi il debito si è riformato. Questa non è una riforma strutturale”.
Tra l’altro la cifra indicata di 25, 30 miliardi di euro non sembra poi così imponente: “E’ una cifra ridicola” dice Sapelli. Il professor Reviglio dice però che il patrimonio pubblico vale oltre 1800 miliardi di euro di cui 700 immediatamente fruttiferi e sostiene che le aree su cui si può intervenire sono crediti, concessioni, immobili e partecipazioni: “Il massimo rispetto per Edoardo Reviglio, un grande luminare del campo. Però con questi chiari di luna che viviamo, con la situazione internazionale drammatica, con una nuova era di protezionismo alle porte, vendere il 30% di Eni o di Finmeccanica mi sembra ad altissimo rischio. Sono società molto ben amministrate, non siamo più ai tempi della Prima Repubblica, non vedo perché dobbiamo vendere i gioielli della corona”.
Eppure il discorso sulle privatizzazioni è molto sentito in questo momento e se ne sottolinea da più parti l’importanza per far fronte alla crisi: “Dieci o quindici anni fa sarei stato d’accordo, nel mio percorso storico sono stato protagonista dell’idea di privatizzazione. Ma oggi devo dire che abbiamo fatto disastri, abbiamo distrutto la base industriale del Paese. Non ci fossero le piccole imprese, Eni e Finmeccanica avremmo raso al suolo tutto. Abbiamo privatizzato dimenticando che per farlo devi affidarti a gruppi industriali forti e stabili”. Non è stato così? “Mi citi un caso delle industrie privatizzate andate bene: alcune sono addirittura scomparse, la Telecom che era un’azienda mondiale oggi è in piena catastrofe. Bisogna pensarci molto e avere le idee chiare: privatizzare per cosa e come? Prima bisogna liberalizzare i mercati poi si privatizzerà”.