Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, sembra l’interprete dello stato di frustrazione e di reazione di fronte alla manovra messa in atto dal governo. Reclama, con toni garbati, ma decisi, tempi rapidi e certezze. C’è un monito che suona severo nei confronti del Governo, che gli imprenditori devono avere soppesato e poi messo in bocca alla presidentessa: «Bisogna rendersi conto della gravità della situazione in cui ci troviamo e bisogna agire immediatamente perché il Paese rischia molto». L’intenzione della leader di Confindustria sembra quella di segnalare al Governo precise richieste. Secondo alcuni, Emma Marcegaglia segue la linea di Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale, che ha esortato i governi a intervenire con misure di risparmio e di crescita per far fronte al rallentamento dell’economia.



Il ministro per l’Economia, Giulio Tremonti, abbandona i toni “professorali”, nei quali ogni tanto involontariamente cade, che poi vengono scambiati quasi sempre per arroganti, ma non si lascia certo sfuggire la replica. La sostanza della risposta è l’atteggiamento che di fronte a questa crisi, sin dal 2008, Tremonti ha sempre avuto: «Non sono mai stato ottimista. Ho detto che mi sembra di stare in un videogame, quando abbatti un mostro se ne solleva un altro». Il problema che appare in tutta evidenza a Villa d’Este, al Workshop Ambrosetti, è che sull’urgenza e la gravità ci sia accordo tra tutte le parti, al di là delle sfumature. Emma Marcegaglia spiega che è in gioco la credibilità del Paese e che, tra prima e seconda stesura della manovra, ci sia stata una sottovalutazione della gravità della crisi e della necessità degli interventi come ci chiedeva la Banca Centrale Europea. Tremonti risponde indirettamente, con toni mansueti: «Certo, nel fare un provvedimento in quattro giorni puoi commettere degli errori. Nessuno ha la bacchetta magica, ma in tanti hanno la mania di bacchettare un po’ troppo. Se si usassero le bacchette giuste con l’armonia giusta sarebbe nell’interesse del Paese». Poi Tremonti comincia a sfornare dati, ad esempio sulla lotta all’evasione: «Credo che ci sia stato un cambiamento fondamentale, con l’obiettivo di convincere a dichiarare un po’ di più. Credo che ci siano margini per un’azione civile, di equità e di non repressione selvaggia. In Italia chi dichiara più di 500mila euro sono 3641 persone, e chi dichiara più di un milione sono 796 persone». 



Tremonti incalza: «Ho letto sulla stampa di buchi di 4 o 5 miliardi, ma se leggete il testo, il gettito del contributo di solidarietà era di 700 milioni nel 2012 e di 1,6 miliardi nel 2013. Considerando che il recupero dell’evasione è stato di 25 miliardi nel triennio, a legge invariata, non mi pare siano cifre impossibili». Tremonti polemizza con Emma Marcegaglia solo su un punto che riguarda la manovra di luglio: «Ho una visione diversa dal presidente di Confindustria. C’erano 14 miliardi di tasse e sei di tagli. E non viceversa». Ma tra questi botta e risposta, che non sembrano tuttavia lacerare una voglia comune di uscire dalla crisi, Tremonti ritorna sul problema europeo e sul problema della ricerca di un nuovo driver di sviluppo. Tremonti cita un suo vecchio libro del 1994 “Il fantasma della povertà” e ricorda contemporaneamente il libro dell’americano Edward Luttwak, che è presente a Cernobbio da tre giorni, sul “turbocapitalismo”. La sostanza che Tremonti vuole comunicare è che il nuovo driver dello sviluppo passa attraverso nuovi e grandi investimenti pubblici. E qui arriva a parlare degli eurobond: «L’idea di eurobond è un’idea gloriosa. O si fanno gli eurobond o ci saranno grandi criticità». Secondo il ministro per l’Economia: «Questo strumento finanziario è il destino di questo continente. Credo che sia una polemica inutile quella sul fatto che sia solo una proposta italiana. Se fosse un esclusivo interesse italiano, perché è interamente appoggiata dal governo britannico, del governo di Londra?» I toni alla fine sono soft, un po’ da tutte le parti. In commento alla manovra intervengono, con sfumature diverse, i ministri Frattini e Romani. Parla ai margini anche il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «La manovra passerà. L’importante è mantenere i saldi e questo è garantito. Ogni cambiamento che può essere utile è accettato».



 

 

Pier Ferdinando Casini non risparmia critiche: «La manovra è un po’ confusa e caotica. L’impressione è che la maggioranza sia in confusione, ma anche l’opposizione sa quale è la situazione e si assumerà le sue responsabilità». Una dichiarazione che sembra di disponibilità, certamente di critica costruttiva, che forse sarebbe bene cogliere. I tempi probabilmente, a giudicare dagli interventi a questo Workshop Ambrosetti, dovrebbero essere rispettati e la manovra dovrebbe passare. Resta sullo sfondo il problema politico di una maggioranza e di un opposizione che litigano sempre come “cani e gatti”, in un faccia a faccia continuo, anche se a distanza. Emerge una considerazione di fondo: gli imprenditori non sembrano più entusiasti (eufemismo), se mai lo sono stati, di questo Governo.

Un giornalista chiede a Emma Marcegaglia se appoggerebbe un “governo tecnico”. Lei si sottrae alla domanda, dice che c’è un governo e una maggioranza. Ma alla fine specifica: «In questo modo, il Paese non può più stare». Il Workshop si conclude sotto una pioggia tropicale, che rovina la bella terrazza lungo il lago di Villa d’Este e mette in subbuglio anche la mise e la pettinatura di Afef Tronchetti Provera. Sono quisquiglie rispetto agli appuntamenti dei prossimi giorni e a quello di domani mattina alle nove, quando riapriranno i mercati. Roberto Napoletano, da poco nuovo direttore de Il Sole 24Ore, è seduto sotto un telone che lo ripara dalla pioggia. Una domanda al volo: c’è veramente il rischio che finisca nel giro di tre anni la zona euro? Napoletano guarda seriamente il lago e risponde: «Il rischio c’è. Speriamo che non avvenga».