Cosa impedisce al governo di fare la giusta politica economica? L’Italia, pur con economia stagnante ed indebitamento crescente dai primi anni ’90, è ancora una nazione molto ricca, densa di capacità industriali e di potenziali di crescita. Per questo non sarebbe difficile, in teoria, trovare il pareggio di bilancio, stimolare la crescita via detassazioni. Inoltre, è vero che il debito è enorme, ma anche il patrimonio pubblico usabile, via vendite, per abbatterne il volume è altrettanto enorme. In sintesi, ci sono tutte le possibilità per una buona politica economica risanatrice e stimolatrice. Cosa la impedisce?
Un ostacolo formidabile è dato dai vincoli dell’euro. L’azione più efficace per stimolare la crescita è quella di ridurre le tasse, accendendo un deficit temporaneo nel bilancio che poi verrà riassorbito dal maggior gettito fiscale proveniente dall’aumento della crescita del Pil pur a carichi fiscali ridotti. Ma questa mossa, ora non più praticabile per l’emergenza debito, è impedita all’Italia da un decennio a causa della dottrina europea dell’equilibrio finanziario: non vengono ammessi deficit stimolativi pluriannuali, ogni singolo anno il deficit deve essere contenuto entro una data soglia. Anche se i politici italiani avessero voluto tentare tale azione, il vincolo europeo glielo avrebbe impedito.
Per questo ora l’Italia cresce poco e ha un debito oltre misura percepito a rischio di insolvenza. Tale situazione impedisce di bilanciare rigore e sviluppo perché costringe a dare una priorità eccessiva al primo per soddisfare l’esigenza di mantenere credibile il debito non facendone di più. La conseguenza è che l’economia cresce di meno perché molti soldi vengono drenati dall’aumento delle tasse o mancano per taglio della spesa pubblica in un tempo troppo breve per compensarli. Tale tipo di risanamento via deflazione rapida ha già messo in ginocchio la Grecia, aumentato la disoccupazione in Spagna e ridotto la crescita in Italia. Si potrebbe attutirne gli effetti devastanti?
Certo, trovando un sostegno integrativo che garantisca il debito, allungando i tempi di sua riduzione. Ma il modello europeo impedisce la garanzia solidale comunitaria dei debiti nazionali (gli eurobond). Questo consiglierebbe all’Italia, che ne ha tanto, di accelerare vendite di patrimonio per ridurre il debito in modo da mostrare al mercato un impegno risanatore, ottenendo più fiducia. Ma non c’è nemmeno un censimento, con valori periziati, del patrimonio, di cui almeno 500 miliardi sono disponibili per operazioni di mercato. E probabilmente questo avviene perché molte proprietà hanno un valore politico rilevante, cioè sono utili ai partiti per scopi clientelari e simili.
Poiché il governo non ha la forza, qualora volesse, di imporre il superiore interesse nazionale a quello delle parti, succede che una soluzione molto semplice al problema di attutire l’impatto da rigore, via operazioni patrimonio contro debito, diviene impraticabile. Una cosa simile può dirsi al riguardo del taglio della spesa pubblica non essenziale: una moltitudine di enti, apparati, funzioni, a livello nazionale e locale, alimentano le basi militanti dei partiti e questi ovviamente non vorranno ridurre la loro forza. Lo stesso impedimento partitico non permette liberalizzazioni e privatizzazioni importanti.
Ecco perché, alla fine, la politica resa impotente da vincoli esterni ed interni riesce solo ad aumentare le tasse. Ciò segnala che il problema non è tecnico-economico, ma di qualità insufficiente della nostra democrazia. Almeno lo si sappia.