La discussa manovra da 54,2 milardi ha avuto ieri sera il sì del Senato. Il professor Luigi Campiglio, con la solita lucidità e calma, ritorna sulle ennesime correzioni a questa sofferta manovra italiana. Campiglio è docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Pesa le parole, ragiona mentre commenta e si comprende che dietro alla sua misurata spiegazione, che potrebbe definirsi accademica, nasconde invece una grande passione civile oltre che per gli studi economici.



Professor Campiglio, come le sembra la nuova, si fa per dire, manovra che il Governo sta approvando?

Guardi, la prima risposta che mi viene in mente è: “Speriamo che sia la volta buona”. Anche se devo dire che le integrazioni finali seguono una logica di risultato con tre dispiaceri: uno per Bossi sulle pensioni, uno per Berlusconi sulla reintroduzione del contributo di solidarietà, una per Tremonti sull’aumento dell’Iva. Questa manovra è giunta al possibile epilogo, ma con tutto quello che è accaduto prima. Permane il disagio di vedere una manovra stiracchiata da logiche più politiche che economiche. Se mi è consentito usare un po’ di enfasi, senza una logica che tenga conto del bene comune del Paese.



Che cosa si aspettava professore? A qualcuno non è nemmeno piaciuta la dichiarazione di Mario Draghi, fatta a mercati aperti, sugli interventi della Bce.

Beh, l’impressione non è molto bella. Diciamo che ci hanno tirato per la giacchetta, anche malamente. Comunque quello che mi ha impressionato di più in senso negativo è la molteplicità di voci, sia nella maggioranza, sia nell’opposizione. Tutti hanno parlato le lingue più diverse e questo nel mezzo di una tempesta di questo genere non fa un effetto piacevole, non consegna ai mercati e agli altri Paesi la realtà di una società italiana che cerca di affrontare unita questa emergenza. E’ stato reintrodotto il contributo di solidarietà. Si può dire che è un segnale che si va verso una dimensione di equità. Il problema è vedere che impatto avrà, adesso che è riservato alle persone che dichiarano 300mila euro. Io penso che questo provvedimento sia valutabile su qualche centinaio di milioni. E qui mi permetto di ricordare una proposta che avevo fatto tempo fa e che ho visto, in un certo senso, riproposta oggi, con dimensioni diverse, sul Corriere della Sera da Jean Paul Fitoussi.



Qual è la sua proposta?

Io pensavo a un “prestito forzoso” che il governo poteva stabilire con 500mila contribuenti. Un “prestito forzoso” di diecimila euro, un bond per un anno. Non mi pare una cifra tremenda e inaccessibile in un momento come questo. E sempre di prestito, anche se forzoso, si tratta. Lo Stato avrebbe incamerato 5 miliardi di euro. Fitoussi andava oltre, pensando a un prestito decennale. Cosa che per l’Italia francamente non mi sembra il caso. In tutti i casi, questo contributo di solidarietà poteva essere un’occasione per avviare, appunto nel giro di un anno, una seria lotta all’evasione. Se dovessi giudicarlo, direi che è un segnale giusto, ma fatto in questo modo resta aperto il cantiere dell’evasione fiscale.

E del reinserimento di un correttivo sulle pensioni, praticamente equiparando le lavoratrici del settore privato a quello del settore pubblico con l’elevamento dell’età pensionabile a 65 anni?

Diciamo le cose come stanno. E’ una miniriforma. Invece è arrivato il momento di ridelineare il sistema pensionistico e previdenziale. Con gli squilibri che abbiamo noi stiamo correndo incontro a un disastro. Qui bisogna ridisegnare il sistema delle relazioni industriali e della cultura di impresa. Possibile che nessuno si renda conto che ormai dopo i 50 anni non esiste più un mercato del lavoro? Sia per le donne che vorrebbero ritornare al lavoro dopo aver allevato dei figli, sia per gli uomini che, magari a causa di ristrutturazioni, hanno perso il lavoro? Ma come fanno, nella società di oggi, a ritrovare un lavoro? Senza una ridefinizione del sistema si continua a costringere nell’angolo le famiglie.

Poi c’è la reintroduzione di un punto dell’Iva che, si dice, peserà soprattutto sul Nord.

Possiamo dirlo, l’Iva sarà sostanzialmente pagata dall’industria del Nord, ma era l’unica cosa che si poteva fare in una simile circostanza. Non credo che abbia effetti devastanti. Ci vorrebbe una clausola di salvaguardia, che sarebbe meglio affrontare a livello locale. In tutti i casi, vista la situazione, che le tasse si spostino sulle cose, anziché sulle persone, cioè che si pensi a imposte indirette piuttosto che imposte dirette non è una scelta sbagliata.

In tutti i casi l’iter di questa manovra ha portato a un grande stato di incertezza. Concorda professore?

Direi che si può aggiungere all’incertezza, che si vede sui mercati, anche il disorientamento che investe tutti cittadini. E la cosa peggiore è che si vedono posizioni differenti nella maggioranza di governo, mentre all’opposizione non si vede nulla di chiaro, se non dichiarazioni un po’ demagogiche e un po’ polemiche. Anche questo è tutt’altro che confortante.

Si nota, di fronte a questa crisi, una radicalizzazione politica non solo in Italia, ma anche in Germania e anche negli Stati Uniti.

Qui mi sembra che non si sia compreso che siamo davanti a una crisi epocale, che è difficile affrontare e che comunque non si può affrontare con gli stessi mezzi di un tempo. E’ dal 2007, dall’estate di quell’anno, che siamo di fronte a questa crisi. C’è indubbiamente una radicalizzazione politica anche in Germania. Io ho l’impressione che l’opinione pubblica tedesca non voglia gli eurobond. E non è così sbagliato che ognuno metta i conti a posto a casa sua. Con una fiscalità diversa, il bilancio pubblico alla fine non è semplicemente il bilancio che viene approvato dalla sovranità del governo nazionale, ma anche dalla sovranità popolare che quel governo esprime. C’è una radicalità politica anche negli Stati Uniti. Si ridiscute delle banche, ma soprattutto ci sono i dati sulla disoccupazione, ferma da troppi mesi intorno al 9 per cento e che comincia a mettere a repentaglio un blocco generazionale che ha perso tutti i riferimenti.

E l’Italia?

In queste bufere, bisogna restare uniti. Cominciamo a uscire dalla tempesta, con coesione, poi si può discutere di nuovi modelli, di nuove scelte per crescere e rilanciare lo sviluppo.

(Gianluigi Da Rold)