L’incontro bilaterale Merkel-Sarkozy, subito dopo quello Monti-Sarkozy e poco giorni prima di quello Merkel-Monti-Sarkozy, certifica la nascita non di un’Europa “a più velocità”, ma di un’Europa “a scacchi”, in cui si incrociano accordi differenti pur tentando di mantenere un quadro unitario. È difficile dire sino a quando, in questa scacchiera, potrà resistere un’unione monetaria che dovrebbe avere come sottostante strutture economiche analoghe, politiche comuni non solo in materia di bilancio e di moneta ma anche in materia settoriale (infrastrutture, previdenza, istruzione).
Il Cancelliere Merkel e il Presidente Sarkozy hanno in primo luogo definito che la stretta convergenza tra Germania e Francia deve essere considerata il pilastro dell’Unione europea e dell’eurozona. È difficile prevedere quanti altri paesi di grandi dimensione dell’Ue e dell’area euro saranno d’accordo con quella che pare essere la certificazione di un direttorio bilaterale in cui l’Italia tenta di inserirsi ma viene ancora trattata con condiscendenza – rispondendo a una domanda a margine, il Presidente del Consiglio francese François Fillon ha detto che il Bel Paese è “un partner solido”, ma con il tono di chi vuol far intendere che è pur sempre uno “junior partner”.
L’intesa bilaterale trova un punto fortemente mediatico in una variazione della “Tobin Tax”, che riprende una proposta del presidente della Commissione europea che dovrebbero frenare movimenti di capitale speculativi e generare un gettito a regime di circa 55 miliardi euro l’anno, dal 2014 o giù di lì. È errato parlare di “Tobin Tax.” James B. Tobin, consigliere economico di John F. Kennedy, infatti, definì i limiti della “sua” proposta, precisando che l’imposta aveva unicamente l’obiettivo di frenare movimenti di capitale a breve, che avrebbero potuto causare fluttuazioni troppo forti del mercato dei cambi e che non si sarebbe trattato di un’imposta internazionale, ma di una misura che avrebbero potuto prendere unilateralmente i singoli paesi che si sentissero minacciati da flussi e deflussi di capitali a breve. Tobin precisò anche che è difficile distinguere tra movimenti a breve, medio e lungo termine, con il rischio di penalizzare potenziali investimenti diretti verso paesi o aree (come il nostro Sud) in sviluppo.
In effetti, l’attuale proposta quale rivista prima dalla Commissione europea e poi dal duo Merkel-Sarkozy ha poco a che vedere con la “Tobin Tax”. Potrebbe invece essere chiamata “tassa sul rischio”: chi intende assumersi rischi tali da mettere a repentaglio la stabilità finanziaria (e quindi il benessere della collettività) dovrà pagare una piccola imposta. Volendo uscire dall’ambito dei meri auspici, occorre chiedersi se non sia utilizzabile un metodo più semplice rispetto a quello dell’adozione di un nuovo trattato e di una clausola dell’accordo sull’“unione fiscale” in corso di trattativa.
Si potrebbe, ad esempio, affidare l’elaborazione di un regolamento all’Autorità europea per la sorveglianza del mercato dei valori mobiliari (l’European securities and markets authority). Così come presentata a Berlino, la misura pare avere scopi, da un lato mediatici, e, dall’altro, di scindere nettamente il Continente dalla Gran Bretagna. Non sono necessariamente due buone idee.
Il duo ha auspicato politiche europee per la crescita e per l’occupazione. Tuttavia, come ha dimostrato Lucrezia Reichlin, sino a poco tempo fa alla guida del servizio studi della Banca centrale europea, la Germania sta sprofondando in una seria recessione e sta trascinando con sé il resto dell’Europa continentale. Ieri, l’International Herald Tribune dedicava l’apertura della prima pagina a quattro colonne a questo preoccupante tema. In effetti, Germania, Francia e molti altri stati dell’Ue (Italia compresa) non hanno metabolizzato che la crisi del debito sovrano è solo l’aspetto più appariscente di un nodo più profondo: l’Europa non sa o non vuole essere sufficientemente flessibile per competere nel mercato globale.
Né la “Tobin Tax” all’europea, né l’“unione fiscale” saranno utili a scioglierlo.