Da mesi (ma i primi avvistamenti sono ben più datati) si aggira per l’Europa uno spettro cui Angela Merkel ha deciso di dar corpo. La famigerata Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, invisa a chiunque operi nel settore. La cancelliera tedesca ha fatto sapere che è giunta l’ora di introdurla, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il Presidente francese, Nikolas Sarkozy. Che, dal canto suo, ha fatto ciò che da alcuni mesi a questa parte sembra riuscirgli meglio. Le ha dato, cioè, ragione. Anche se, in realtà, starebbe mettendo a punto un piano per far di testa sua. Emilio Colombo, professore di Economia internazionale presso la Bicocca di Milano, spiega a ilSussidiario.net come va interpretata tutta la vicenda. «L’idea originaria – afferma – era quella di introdurre una tassa che potesse, potenzialmente, frenare la speculazione, colpendo maggiormente i capitali a breve termine. Gli speculatori, infatti, compiono numerose operazioni in un arco di tempo ridotto, effettuando, invece, meno transazioni a lungo termine». In sostanza, rappresenterebbe un deterrente per lo speculatore che, ogni volta che compra, vende, ricompra e rivende, sarebbe tassato. «In ogni caso, per funzionare dovrebbe essere applicata in maniera estensiva. Dal momento che le transazioni finanziarie sono effettuate pressoché ovunque, si fa presto, infatti, con un click a spostare capitali, ad esempio, in Singapore».
Il dibattito di questi giorni verte sulla possibilità di applicare la Tobin Tax in Europa. «L’economia europea è di vaste dimensioni, e la misura potrebbe avere una certa efficacia». Ma Londra si è tirata fuori. «Questo è un problema – dice il professore – . La sua presenza o meno nell’accordo fa la differenza. Le resistenze inglesi, tuttavia, saranno molto forti. E comprensibili. Del resto, l’economia della Gran Bretagna dipende in parte da Londra. E l’economia di Londra dipende in gran parte dalla City». Si direbbe che si stia giocando una partita più ampia. «In effetti, ad esempio, è in corso una sfida tra piazze finanziarie. Con Francoforte che, in seguito alle ultime acquisizioni, si candida a diventare il nuovo baricentro finanziario europeo».
Tornando alla Tobin Tax, «le ragioni di chi la difende sono più politiche che tecniche. Dalla sua applicazione, infatti, non credo possano derivare chissà quali introiti. La loro entità dipenderà da una serie di fattori, quali le aliquote stabilite e i paesi aderenti». Si tratta, quindi, per lo più, di un modo per lanciare un segnale: «La politica vuol fare capire che è in grado di governare il mondo finanziario, responsabile della crisi». Da questo punto di vista, prendono corpo le indiscrezioni secondo cui Sarkozy preferirebbe seguire la via londinese e tassare solo la vendita di azioni al solo scopo di smarcarsi dall’immagine che, negli ultimi mesi ha dato al mondo e alla Francia di sé; quella di un leader succube della Merkel. E in Francia, tra poco, ci sono le elezioni. «In effetti – dice Colombo – molti Paesi potrebbero usare la Tobin Tax come strumento piegato ai fini elettorali.
Restano da comprendere gli obiettivi tedeschi: «Uno dei problemi della crisi è che non si capisce se la Germania intenda assumere un ruolo europeo o no. La Merkel, del resto, a differenza di Kohl, negli anni non ha avuto una chiara visione di cosa fosse l’Europa. Né è mai stata in grado di trasmettere ai tedeschi la percezione del fatto che rappresenti un bene comune da difendere soprattutto pensanto ai propri interessi». Se tutto il progetto saltasse, per la Germania si determinerebbero gravi ripercussioni».
«Ci sono due scenari: la Germania potrebbe uscire dall’euro ed emettere propria valuta. Questa si apprezzerebbe nei confronti della divisa unica. Ma, dal momento che il Paese è un creditore netto della zona euro e dato che i suoi crediti sono posseduti in euro, avrebbe una grossa perdita in conto capitale». Secondo un’ipotesi alternativa, potrebbero essere altri paesi, tra cui l’Italia, a sfilarsi dall’euro. «Nel caso fossimo noi a rinunciare alla divisa unica, la nostra moneta si svaluterebbe fortemente; il che ci renderebbe estremamente competitivi sul piano delle esportazioni, in concorrenza diretta della Germania. È stato calcolato addirittura che nel primo anno di una nostra ipotetica svalutazione Berlino perderebbe sino al 25% del proprio Pil».