Diciamolo chiaramente: la lotta all’evasione fiscale è di sinistra. Perché per una volta riusciamo a esser chiari? Perché gli evasori non possono che essere lavoratori autonomi: chi prende uno stipendio da un datore di lavoro, su quello stipendio anche volendo non può evadere (magari evade su altri redditi, ma non su quello, che di solito è il principale). E la sinistra pesca i suoi consensi, nella stragrande maggioranza, tra i lavoratori dipendenti: gli imprenditori, gli artigiani, i professionisti “di sinistra” sono una graziosa anomalia sociale del nostro Paese, assai meno numerosa di quanto si pensi, ma in genere chi rischia in proprio, chi si misura giorno dopo giorno sul mercato, può avere un forte senso dell’eguaglianza, può avere un forte senso sociale, può sentire gli obblighi della solidarietà… ma difficilmente sottoscriverebbe le posizioni di chi invece ancora oggi “non discute” l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o rimpiange le Partecipazioni statali o chiede di accorciare l’orario di lavoro, di non aprire i negozi la domenica e quant’altro.
Ebbene: se la lotta all’evasione è di sinistra, il caposcuola di questa lotta è indiscutibilmente Vincenzo Visco, ex temutissimo ministro delle Finanze degli ultimi governi sostenuti dal Pd. Ed è interessante osservare come Visco non abbia plaudito alla spettacolare incursione anti-evasori messa in scena dall’Agenzia delle Entrate di Attilio Befera a Cortina d’Ampezzo, a Capodanno. Visco ne ha colto e condiviso l’intento dimostrativo e “deterrente”, ma ha anche sottolineato come, al di là dei titoli dei giornali, non è con una retata del genere che si risolve il problema. E lo ha fatto richiamandosi a due delle sue ultime, e naufragate dopo di lui, iniziative di governo: la limitazione dell’uso del contante e il ripristino dell’elenco clienti e fornitori.
Sul primo fronte, Visco ha ricordato che il “tetto” all’uso del contante prescritto per i professionisti nella sua proposta di legge, presentata e mai convertita nel 2008, era di cento euro: perché solo così (e non con i mille euro fissati da Monti) effettivamente un professionista non può più tenere in cassa somme importanti senza implicitamente autodichiararsi evasore. Con una soglia di cento euro, a ogni versamento in banca deve corrispondere un adeguato numero di fatture emesse: altrimenti si dovrebbe dimostrare di aver effettuato solo prestazioni “sotto soglia”, ma allora bisognerebbe documentarle – e allora non si potrebbe comunque evadere – ovvero alla bisogna falsificarle… un lavoro complicatissimo, da malavitosi. A meno di non voler saltare la banca e tenersi la liquidità in casa, in cassaforte. Ma anche questo è un lavoro da malavitosi, non da persone perbene. Quanto al registro clienti e fornitori – non a caso esecrato dalle categorie coinvolte – è uno strumento prezioso nelle mani degli accertatori per incrociare i libri contabili di imprese e professionisti coinvolti in reciproche relazioni commerciali e riscontrare eventuali furbate.
Il fatto che questi due strumenti siano stati nel primo caso ripristinato su una soglia decupla di quella “cattiva” e nell’altro caso ignorato, dimostra che il governo Monti non fa sul serio come potrebbe su questo fronte. Peccato, perché invece fa la “faccia feroce” in un modo che rischia di diventare discriminatorio. Perché? Semplice. L’evasione fiscale è – insieme al fallimento della giustizia civile, ormai inadoperabile dal mondo dell’economia – il vero male oscuro della finanza pubblica italiana. L’Istat calcola che l’economia sommersa ammonti al 16% circa del Pil, quindi a 245 miliardi di euro. Significa che il 45% di questo valore, 110 miliardi almeno, sono soldi evasi.
Ebbene, colpa di una simile mostruosità non può essere solo degli evasori, ma anche di chi avrebbe dovuto prevenirli, trovarli, punirli. Cioè, appunto, dell’apparato amministrativo e poliziesco dell’amministrazione tributaria: Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza. Spiace dirlo, ma è lapalissiano: dietro ogni eccesso di devianza sociale c’è anche una carenza di prevenzione e controlli. Ebbene, nei fatti si sta dando a questi organismi carta bianca anziché introdurre strumenti che garantiscano automatismi e non discrezionalità nella lotta all’evasione.
Gli interventi dell’Agenzia e delle Fiamme Gialle hanno infatti, di molto brutto, il difetto che rimettono al confronto tra le parti la definizione del contenzioso: e il confronto è impari per il cittadino, soprattutto per quello onesto, colto magari in castagna su una distrazione o su una lieve mancanza. Mentre il vero evasore, di solito, sa meglio come difendersi o quanto meno ha tutte le risorse economiche per pagarsi chi meglio lo difenda. Il che peraltro accade puntualmente, con un effetto mediatico devastante, che nessun blitz cortinese può cancellare: se lo stesso erario che persegue, meritevolmente, i commercianti cortinesi troppo furbi, poi sbraca quando negozia con la Bosch su una contestazione da 1,4 miliardi di euro riducendogliela a 300 milioni, o con Valentino Rossi quando gli chiede 8 milioni di arretrati e si accontenta poi di 2, dimostra che chi ha forza negoziale vince, e chi paga sono i poveracci ai quali due ganasce sull’auto bastano per bloccare la ditta e per costringere a pagare senza “se” e senza “ma”.
C’è poi un secondo effetto negativo di questi blitz mediatici che da tempo l’Agenzia e la Guardia di Finanza perseguono: scatenare la sensazione, demagogicamente furba perché solletica l’epidemia di invidia sociale in atto in Italia, che dietro la ricchezza ci sia sempre disonestà. Ebbene, che questo sia “concettualmente” vero o verosimile, è un dato stabilito una volta per tutte, molti e molti anni fa, da Sant’Agostino: è difficile che i grandi accumuli di ricchezza abbiamo un’origine totalmente limpida… Lecita sì, magari, ma equa mai: e questo vale per le grandi proprietà immobiliari, figlie spesso di antichi ingiusti privilegi di casta, ma anche per le straordinarie fortune imprenditoriali, frutto sì di genialità, ma anche (si veda il caso di Bill Gates) di madornali distrazioni delle autorità antitrust…
Ma tra questa disquisizione filosofica e la conseguenza pratica di far credere agli italiani che chiunque abbia il (cattivo) gusto di comprare una Porsche Cayenne o di fare le vacanze invernali in Cadore sia un delinquente ne corre. Essere ricchi non vuol dire essere ladri, o evasori. E invece è quel che ormai pensano in molti. Ma c’è una cosa che forse più di ogni altra spiace: e che cioè lo Stato dovrebbe essere tanto corretto e rigoroso, nel suo atteggiarsi verso i contribuenti sia nelle manifestazioni dirette delle autorità fiscali, sia nelle esternazioni dei suoi vertici – da Monti a Befera -, da ricordare che comunque chi in Italia paga le tasse, e sono i più, ne paga troppe: quindi parlare di fisco richiederebbe, come dire, un atteggiamento di compunzione se non un imbarazzo dolente che i tartassati contribuenti onesti gradirebbero. Le tasse non sono “bellissime” come disse il compianto (non per questo) Padoa Schioppa. Le tasse sono necessarie. Come può esserlo un clistere. Ma bellissime no!
Verso chi le paga, e fino a prova contraria, lo Stato deve presentarsi col cappello in mano e in punta di piedi. Non c’è invece contribuente che abbia avuto la disavventura di incappare nell’Agenzia delle Entrate e che non si sia sentito trattare come un delinquente. Da vessare e intimidire. No, presidente Monti: così non va, e così non si va da nessuna parte. Se glielo dicessero solo “quelli di destra”, capirei che potrebbe fare spallucce. Ma ascolti Visco, che i vignettisti ritraevano immancabilmente con i canini del vampiro, tanta paura faceva agli evasori: non crediate di recuperare il reddito evaso facendo passerella a Cortina… Ci vuol altro e, soprattutto, ci vuole qualcosa di diverso: dia agli accertatori il massimo degli strumenti di indagine e il minimo della discrezionalità. Agli agenti delle tasse, mi creda, meglio tenergli briglia corta.