Nessun italiano potrà mai essere irriconoscente verso Carlo Azeglio Ciampi: un italiano normale che ha impegnato una vita intera per gli altri italiani normali. Un “servitore civile” che ci ha messo scienza, lavoro, buona fede, sobrietà fuse in una personale “visione del mondo” che ogni persona adulta ha il diritto-dovere di maturare, di professare, non meno che di criticare e cambiare. Per questo nessuno gliene vorrà per il drammatico “autodafè” vergato nella lettera-testamento: “A un giovane italiano”. Scrive Ciampi: «Hanno fatto della finanza (qualla finanza che nei manuali di economia apprendiamo essere al servizio della produzione, dello scambio, dello sviluppo) la foresta dove appagare appetiti ferini, dove impera la legge non scritta del cinismo, del disprezzo per ogni valore che non sia quello del guadagno, del successo, del potere». Se lo avesse scritto un ex Governatore di banca centrale, ex premier, ex ministro dell’Economia, ex presidente della Repubblica (nell’arco fra il 1980 e il 2006) che non si chiamasse Carlo Azeglio Ciampi, avremmo qualche difficoltà a ringraziarlo per averlo scritto. Invece gliene siamo riconoscenti: in uno “Spillo”, per una volta, volutamente spuntato. (g.c.)



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