Un beffardo sorriso, compiaciuto e maligno, solca il volto di chi apprende la notizia. Onestamente, non è facile trattenere quel minimo di sacrosanta soddisfazione. Nella memoria è ancora vivo il ricordo dello sberleffo francese. Di quando Sarkozy, a chi gli chiedeva se fossimo un Paese affidabile, rispose ridacchiando. E lo fece in mondovisione. Qualcuno, semplicemente, si è irritato. Per altri è stata una cocente umiliazione. Sta di fatto che chi la fa l’aspetti. Tocca alla Francia, adesso, essere declassata. Con tutto quello che ne consegue. A livello simbolico e pratico Standard & Poor’s ha deciso di tagliare il rating ai cugini d’Oltralpe che perdono così la loro tripla A. Ora che succede? Lo abbiamo chiesto a James Charles Livermore, operatore finanziario.



I francesi se l’aspettavano questa decisione?

A dire il vero, sì. Era nell’aria, già da qualche settimana.

Perché?

Per errore, la notizia venne diffusa alcune settimane fa. Fu un primo campanello d’allarme. In generale, il sentimento sui mercati era tale da lasciar intendere che sarebbe accaduto qualcosa del genere. I prezzi dei titoli di Stato francesi, infatti, viaggiavano da tempo su valori che non rispecchiavano più la tripla A.



Sarà, adesso, la volta delle altre due agenzie di rating, Fitch e Moody’s?

Sarà interessante vedere cosa farà Fitch, la cui maggioranza è in mano a un gruppo francese. Di certo, le tre grandi del rating si muovono in sincronia e guardano l’una all’altra. Ci saranno, di conseguenza, con ogni probabilità, dei posizionamenti anche da parte delle altre agenzie.

Ci saranno le ripercussioni a livello finanziario ed economico?

Si determineranno degli impatti significativi su quegli istituti di credito che possiedono dei titoli di Stato francesi. Anzitutto, quindi, sui primi tre gruppi bancari: Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole.



Che rischi corrono queste banche?

Sono lontane dal rischiare il collasso. Non credo, infatti, che un eventuale e serio pericolo di default possa scattare in seguito al downgrade.

Ora Sarkozy, specie nei confronti dell’Italia, “abbasserà la cresta”?

Già da tempo sta mantenendo un profilo molto basso, per cercare di restare fuori dal mirino delle polemiche. Sulla perdita della tripla A si giocheranno molte battaglie in campagna elettorale.

Vuol dire che i francesi, effettivamente, hanno cognizione di quanto sta avvenendo?

Per i francesi la situazione del proprio Stato ha enorme importanza. È prevalentemente da esso, infatti, che dipende la situazione economica e sociale dell’intero Paese.

A questo livello, cosa potrebbe accadere?

Il rischio è quello di dover modificare lo stato sociale. Decisamente meno flessibile di quello di altri paesi, e con una popolazione ben allenata agli scioperi.

È ipotizzabile una situazione analoga a quella italiana? Ovvero: in seguito al downgrade (in Italia, non era stato l’unico motivo) aumenta lo spread; i rendimenti dei titoli di Stato schizzano alle stelle; le banche, per fare concorrenza allo Stato, devono emettere obbligazioni altrettanto appetibili; ma a questo punto non hanno più risorse per prestare soldi a tassi ragionevoli.

Il tessuto industriale francese è diverso da quello italiano. La Francia è dominata, principalmente, da grandi gruppi legati a doppio filo allo Stato francese. Le piccole e medie imprese, per le quali l’accesso al credito è linfa vitale, sono un fenomeno assai meno rilevante che in Italia. Quelle che ci sono, per lo più, vivono della luce riflessa dai grandi gruppi. Per loro, quindi, è determinante che il credito venga “pompato” in essi e che, di conseguenza, l’indotto funzioni. C’è da aggiungere che, nel credito ai colossi, la politica gioca un ruolo fondamentale. La politica industriale francese, quindi, più che ai problemi di carattere creditizio bancario, è attenta alla loro tenuta.