«Quello che si sta verificando in questo momento è uno dei tasselli di un processo evolutivo che è iniziato a monte con la perdita del controllo dell’accesso alle risorse petrolifere che si trovano nel sottosuolo, e mentre prima le multinazionali controllavano l’80% del greggio che veniva estratto e poi raffinato e distribuito, adesso il controllo è molto minore, intorno al 5-10%. Il problema è poi a valle, e diventa importante essere presenti e controllare i punti di sbocco, cioè dove ci sono i consumatori, per cui c’è stato da parte delle società petrolifere dei paesi esportatori un processo di integrazione, con un’entrata nella raffinazione e nella distribuzione». A spiegare a IlSussidiario.net la situazione attuale del settore carburanti è Giancarlo Pireddu, Docente di economia dell’energia presso l’Università degli Studi di Pavia. «Questo è il quadro complessivo, – spiega Pireddu – mentre adesso quella italiana è una situazione particolare: abbiamo infatti un numero di posti di distribuzione enormemente superiore rispetto all’equivalente di altri paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna. Questo eccessivo numero si spiega anche geograficamente, vista la struttura montuosa del Paese e la presenza di tanti piccoli paesi, dove fa sempre comodo avere una pompa di benzina, ma questa cosa negli altri paesi non è molto comune. Ovviamente questo eccesso di distributori fa diminuire il venduto dal punto di vista medio, quindi è chiara la difficoltà nel recuperare i costi».
Il Professor Pireddu ci spiega che «l’obiettivo del governo Monti è quello di rompere ulteriormente questo assiduo controllo che hanno ancora le grandi imprese petrolifere sulla filiera, dal lato dei consumatori. Bisogna comunque ricordare che questi processi di liberalizzazione possono certo incidere, ma su un ordine di grandezza relativamente piccolo, perché quella dei costi industriali è la parte più piccola della componente che determina il prezzo alla pompa». Secondo Pireddu, «il fatto che i gestori di impianti distributivi potranno acquistare i carburanti da chiunque li produca o li rivenda, fa parte di quel modo di attenuare, prima dell’80% e poi fino al 50%, la quota garantita di mercato di ogni singolo marchio. Lo scopo è proprio quello di lasciare maggiore spazio agli altri e creare quindi un mercato potenzialmente più concorrenziale. E anche il fatto che in futuro un terzo degli impianti di distribuzione di carburanti potrà essere riscattato nei confronti degli attuali proprietari fa sempre parte dello stesso schema interpretativo, cioè ridurre la presenza diretta della compagnia petrolifera per permettere ai soggetti che possono riscattare questi impianti di rifornirsi dove vogliono. Mentre il fatto che i benzinai potranno vendere giornali, alimentari e tabacchi, fino ad aprire un intero bar all’interno del proprio impianto di vendita dei carburanti, è già stato anticipato per esempio in Francia, con i grandi sistemi degli ipermercati, dove addirittura vengono dati buoni sconto per rifornirsi presso il distributore dello stesso ipermercato».
Tuttavia, «una cosa del genere impone una razionalizzazione dal punto di vista fisico del sistema distributivo, perché non ci possono essere oltre 20 mila distributori di benzina sul territorio italiano, mentre se si scendesse per esempio a 10 mila sarebbe possibile ridurre la quota di mercato degli stessi marchi. Bisogna quindi pensare a una ristrutturazione e una rilocalizzazione dei distributori, e tutte quelle pompe di benzina piccolissime presenti in Italia non hanno in teoria alcuna possibilità di sopravvivere. Sarà quindi necessario chiudere una parte di impianti di distribuzione, con la conseguenza che tante persone e famiglie che ruotano intorno a queste tante realtà dovranno affrontare momenti difficili. La previsione degli economisti è infatti sempre sul lungo periodo, mentre sul breve si tratta come al solito di un processo di ristrutturazione che comporterà lacrime e sangue per tutti».
(Claudio Perlini)