Sarebbe bello, giusto e liberale vivere in un’economia in cui la mano pubblica non esistesse; in cui libere aziende private si facessero concorrenza in tutti i settori; in cui lo Stato si limitasse a vigilare e a punire le imprese che con accordi di cartello o altro violassero il sacro principio del mercato libero e concorrenziale. Tutto molto bello e ideale.



Poi c’è la realtà, non solo in Italia. C’è lo Stato che a volte vigila e al contempo produce beni e servizi; c’è la mano pubblica che agevola, incentiva e foraggia; e ci sono società controllate dallo Stato che hanno la proprietà di reti infrastrutturali che in quel determinato momento storico i cittadini ritengono che non debbano essere di proprietà privata.



In Italia, grazie al governo Monti, che questa settimana conta di approvare un decreto sulle liberalizzazioni, è partito implicitamente un concorso a chi è più liberale, liberista e liberalizzatore. Nessuno vuole essere meno liberista di un montiano e nessun liberale vuole mostrarsi meno liberalizzatore di un liberista. I più novizi del tema, come sempre succede, sono i più intransigenti.

Un esempio? Il giurista Giovanni Pitruzzella che il Presidente del Senato, l’ex dc poi forzista quindi pidiellino, Renato Schifani, ha voluto alla presidenza dell’Antitrust. Pitruzzella ha consegnato un rapporto a Palazzo Chigi che forse neppure Francesco Giavazzi avrebbe potuto scrivere con la collaborazione o meno di Alberto Alesina. Ma che sicuramente sarà giudicato liberista all’acqua di rose dal liberista integrale Luigi Zingales.



L’agenda delle liberalizzazioni non risparmierà nessuno, promettono da Palazzo Chigi. E quindi si inciderà sul mercato ristretto dei taxi, sul numero limitato delle farmacie, si renderanno plurimarche i distributori di benzina e si cercheranno di aprire le corporazioni, pardon gli ordini professionali. Per carità, non basta, dicono i liberisti in servizio permanente effettivo. Non quelli apprezzati per il loro rigore e le loro ricerche, che animano, ad esempio, l’Istituto Bruno Leoni, ma quelli dell’ultima ora.

I montiani prêt à porter sentenziano: bisogna colpire i colossi pubblici che non consentono ai privati di svilupparsi. Giusto, anzi doveroso. Da chi cominciamo? Dalle Ferrovie dello Stato? Ottimo. E che cosa si fa? La risposta è pronta: passare la proprietà di Rfi (Rete ferroviaria italiana), controllata dalla capogruppo Fs, dalla holding pubblica posseduta dal ministero dell’Economia al ministero dell’Economia. Gli addetti ai lavori dicono che se la rete passa da una spa controllata dal Tesoro al Tesoro è una rivoluzione. Sarà.

Tutto qui? No. Il Corriere della Sera ha trovato la vera chiave di volta. Poiché il lettiano Antonio Catricalà, ex presidente dell’Antitrust, ora sottosegretario all’Economia, ha detto che non è una priorità separare la proprietà della rete del gas dall’Eni, e siccome il lettismo non è più in voga al Corriere in epoca di tecnogoverno, allora la soluzione finale delle liberalizzazioni è bell’e pronta: i prezzi del gas sono troppo alti in Italia, quindi si venda Snam rete gas.

Partiamo dall’assunto: i prezzi del gas troppo alti. Con riferimento al confronto internazionale dei prezzi, assumendo fonti ufficiali (dati Eurostat e Autorità per l’energia elettrica e il gas per il prezzo civile italiano stimato per il consumatore tipo da 1400 m3/annui), si evincono due aspetti. Primo: il prezzo italiano del gas ai clienti industriali è sostanzialmente allineato a quello dei principali mercati europei. Secondo: con riferimento al settore civile, il prezzo italiano ante imposte è allineato ai più bassi prezzi europei; il prezzo italiano con le imposte diventa il più alto fra quello dei principali mercati del gas europei.

E poi, chi comprerà Snam? Prima soluzione: Terna, che però è controllata dal Tesoro. È questa la liberalizzazione? Seconda soluzione: la comprerà una società estera. I liberisti a corrente alternata, magari tra qualche anno, asseriranno che forse non era il caso di privatizzare o vendere agli stranieri una rete infrastrutturale strategica sulla quale effettuare investimenti utili alla crescita economica e alla ricerca, e sulla quale puntare per farne un perno di una rete infrastrutturale di livello europeo.

Nella competizione a chi è più liberista e privatizzatore, manca ancora chi proponga la dismissione della quota strategica detenuta dal ministero dell’Economia in Finmeccanica. D’altronde per un liberista doc di tendenza montiana è illogico che lo Stato abbia la proprietà di un gruppo internazionale attivo nella difesa e nell’aerospazio. O no?

 

Twitter@Michele_Arnese

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