La giornata di ieri, in cui c’è stata la visita del Premier Mario Monti a Londra, dove ha incontrato il suo omologo David Cameron, è stata caratterizzata anche dall’eco delle dichiarazioni di Wolfgang Franz, Capo dei consiglieri economici di Angela Merkel, secondo cui l’Italia può “cavarsela” da sola, senza l’aiuto della Germania. Parole a cui Monti ha replicato, spiegando che l’Italia non ha effettivamente nulla da chiedere di specifico per sé alla Germania. Tuttavia, ha aggiunto il Presidente del Consiglio, c’è il problema della governance dell’eurozona che non è ancora all’altezza della sfida della crisi. E qui Berlino viene chiamata in causa, dato che tiene, sempre più in solitaria dopo la perdita francese della tripla A, il timone dell’unione monetaria. «Che l’Italia cominci a camminare da sola è un passo necessario, ma non sufficiente», è il commento di Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Cosa intende dire?

Non mi riferisco a una condizione di “autonomia”, ma al fatto che l’Italia deve cominciare a camminare a una velocità non dissimile a quella degli altri grandi paesi, Francia e Germania in particolare. Così è come se si camminasse insieme. Ed è più facile quindi prendere misure e provvedimenti comuni ed efficaci per tutti.



Da questo punto di vista per ora sul piatto c’è solo l’opzione dell’unione fiscale. Cosa ne pensa?

L’unione fiscale appare necessaria nel breve-medio termine. Tuttavia, bisognerà imprimere un’accelerata a questo progetto, perché i tempi stringono. Siamo infatti in un anno in cui molti titoli di stato andranno in scadenza e in cui ci saranno importanti appuntamenti elettorali. Ma non possiamo permetterci di aspettare che arrivi l’esito delle votazioni prima di agire, perché nel frattempo stanno aumentando coloro che, specie negli Usa, scommettono contro l’euro. Anche se sono convinto che stiano sbagliando a fare i loro conti.



Perché?

Perché se l’euro dovesse trovarsi in difficoltà molto serie ci sarebbero ripercussioni in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti, che sarebbe colpiti immediatamente dalla “bufera”. In qualche modo, quindi, i soggetti interessati a normalizzare la situazione vanno oltre i membri dell’Eurozona. Sarà comunque importante, nelle azioni coordinate che verranno prese, cercare di non fare errori o, diversamente, di correggerli in tempi molto rapidi.

 

Una rapidità che non si è vista nel caso della Grecia, la cui situazione continua ad aggravarsi.

 

La Grecia, data la ristrutturazione di cui si sta discutendo, viene ormai tecnicamente riconosciuta in default dai mercati. Penso che in ogni caso un accordo in extremis, come è avvenuto finora, verrà trovato. Il problema vero è un altro: fare in modo che questo default non vada a investire i grandi paesi, in particolare l’Italia. Non perché il nostro Paese sia particolarmente debole, ma perché se andasse in default si creerebbe lo “tsunami” di proporzioni globali di cui parlavo prima. Ritengo quindi che ci sia un interesse mondiale affinché questa situazione venga risolta. L’alternativa, infatti, è una situazione di forte e imprevedibile instabilità.

 

Ma se il nostro Paese non è esposto verso Atene, come potrebbe rimanere coinvolto in un suo fallimento?

 

La Grecia in quanto tale non è un Paese che potremmo definire “avanzato”, però fa parte di un’area monetaria importante. Il suo fallimento sarebbe un fatto straordinario e potrebbe diventare un evento che genera aspettative su altri fallimenti. Il ragionamento degli investitori sarebbe: fallito uno Stato potrebbe fallirne un altro.

 

La strategia di Mario Monti per affrontare la crisi dell’Italia prevede anche una serie di incontri nelle capitali europee. Come va giudicato quello avvenuto ieri a Londra con Cameron?

 

È un incontro importante principalmente per due ragioni. La prima è riportare completamente la Gran Bretagna nel dialogo interno all’Ue. Lo ritengo inevitabile, perché se dovesse esserci una crisi dell’eurozona anche Londra ne sarebbe coinvolta e dunque ha tutto l’interesse a dare il suo contributo affinché ciò non accada. La seconda è che la City rappresenta il vero grande centro finanziario europeo, anche se si trova fuori dall’Eurozona. La visita di Monti nel cuore della finanza europea è quindi fondamentale vista la situazione sui mercati del nostro Paese.

 

Una situazione che potrebbe peggiorare: dopo il downgrade operato da Standard & Poor’s, il nostro Paese potrebbe subire presto anche quello di Fitch.

Tutti guardano ai voti che danno le tre grandi agenzie di rating. Il problema è che valutare le aziende (in un modo che per di più si è spesso rivelato sbagliato) o gli Stati non è la stessa cosa. Dare un voto agli Stati vuol dire in certo senso fare politica estera e non è di certo questo il compito delle agenzie di rating. Esse non vanno quindi “buttate a mare”, ma i loro giudizi rischiano di avere troppo peso, specie nei casi di quei fondi di investimento che non possono per regolamento acquistare titoli che hanno una valutazione inferiore a una determinata lettera.

 

Un’ultima considerazione Professore: per far fronte alla recessione nel nostro Paese sarà importante il ruolo del credito. Purtroppo, però, la liquidità che la Bce ha messo a disposizione delle banche non arriva all’economia reale. Perché?

 

Questo si deve alla paralisi dei mercati. Non è la prima volta che accade: è la stessa situazione verificatasi nel semestre ottobre 2008-marzo 2009. Una paralisi in cui il rischio controparte era andato alle stelle ed è ritornato a livelli accettabili solo quando si è ristabilito un certo grado di fiducia fra le istituzioni bancarie. Ora, il fatto positivo è che la liquidità c’è. Tuttavia, essa è necessaria, ma non sufficiente. Il credito, infatti, è il risultato di un clima di fiducia che si è rotto e che va ricostituito. E la Bce, purtroppo, può solo favorire questo processo.

 

(Lorenzo Torrisi)

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