Secondo la bozza del decreto legge sulle liberalizzazioni, entro il 31 dicembre 2012 e con effetto dall’anno successivo, i sistemi tariffari dei pedaggi relativi alle concessioni in essere saranno rivisti “con determinazione dell’indicatore di produttività a cadenza quinquennale per ciascuna concessione; in caso di mancata determinazione dei nuovi criteri tariffari nel termine indicato, i livelli delle tariffe restano fissati a quelli definiti nel 2012 e non possono subire alcun incremento fino alla rideterminazione secondo il metodo previsto nel periodo precedente”. In pratica, da gennaio 2013 le tariffe autostradali saranno definite con il criterio del “price cap”, cioè l’individuazione di un prezzo massimo inferiore a quello praticato in monopolio non regolato. IlSussidiario.net ha chiesto a Marco Ponti, ordinario di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, una delucidazione riguardo questi provvedimenti.
Professore, cosa pensa di questo provvedimento che forse verrà approvato domani?
La questione non è così semplice: un’impresa sul libero mercato deve fare molti sforzi per diventare più efficiente e per ridurre i costi di produzione. Un’autostrada non può essere sul libero mercato, perché è un monopolio naturale, che però viene regolato dallo Stato per difendere gli utenti. Ma in che modo? Simulando il mercato.
Cosa significa?
Vengono prima osservati i costi autostradali, si fa un’analisi della situazione complessiva autostradale e lo Stato, quindi il regolatore, dice, per esempio, che in cinque anni l’autostrada deve diventare più efficiente del 10%. Allora, visto che le tariffe di oggi pagano anche un’eventuale inefficienza, lo Stato mette un tetto a queste tariffe in modo che in cinque anni l’autostrada deve comunque far pagare agli utenti il 10% in meno. Questa operazione si chiama regolazione incentivante e ha un grandissimo vantaggio: se il regolato è particolarmente abile, cioè se fa un grande sforzo per ridurre i costi, non li riduce solo del 10% in cinque anni, ma del 20%.
Che succede in questo caso?
All’interno della riduzione del 10% che aveva fissato il regolatore c’è il profitto “normale” del regolato, che viene riconosciuto sul capitale investito: se però, come detto, il regolato è molto abile e riesce a stare sotto a quel valore, riducendo quindi più rapidamente i costi, ottiene degli extraprofitti, avendo le tariffe fissate per andare a meno 10%. Immaginiamo, per esempio, che i costi siano 100 e che il regolato ne copra gradatamente 90: se riesce ad arrivare a 80 ottiene extraprofitti, quindi è incentivato da questa regolazione del “price cap” a essere più efficiente. E tutto questo simulando il mercato, in cui accade lo stesso: un’impresa che è più brava delle sue concorrenti a ridurre i costi fa extraprofitti a condizioni date.
In che modo questo meccanismo porterà vantaggi agli utenti?
Immaginiamo che il regolato sia “pigro” o che in cinque anni riesca a ridurre le tariffe solo del 5%, e non del 10%: in questo caso il regolato perde soldi, perché le sue tariffe continuano ad abbassarsi fino al 10%. Bisogna però sottolineare che, pur perdendo soldi, il regolato non fallisce, perché se dopo il quinto anno riesce a ridurre a 80 i suoi costi, continuando ad avere tariffe per 90, ottiene 10 di extraprofitto. Dopo i cinque anni, però, la tariffa non riparte da 90, cosa che altrimenti renderebbe eterno l’extraprofitto. Riparte invece da 80, quindi il regolato si tiene l’extraprofitto ottenuto, che però non è eterno, quindi il vantaggio della sua maggiore efficienza si trasforma, dopo cinque anni, in tariffe più basse per gli utenti. Esattamente quello che avviene nel mercato: un’impresa riesce ad abbassare i costi, fa extraprofitti, ma le altre imprese dopo cinque anni la raggiungono e di conseguenza gli extraprofitti si interrompono, a vantaggio di tutti gli utenti. Questo processo dinamico naturalmente non piace molto ai regolati, perché, simulando il mercato, rappresenta per loro una ”medicina” piuttosto amara. Alla fine del quinquennio, i vantaggi di produttività del regolato vengono trasferiti ai consumatori, ma il regolato è comunque incentivato a fare extraprofitti, che però non gli restano in tasca eternamente.
Parliamo invece degli investimenti.
Anche gli investimenti fanno parte di questa partita, ma da un versante esterno. Oltre ai costi di gestione, il regolato deve anche recuperare quello che spende per gli investimenti, altrimenti rischia di fallire, ma il problema è che le caratteristiche e i prezzi degli investimenti, senza un’Autorità indipendente, sono decisi “in famiglia”, nel tentativo di recuperare il massimo. Ci possono quindi essere margini incongrui o negoziati opachi, e una delle grandi battaglie è stata infatti quella per racchiudere tutto in una gara per aumentare la trasparenza.
Ma se viene posto un tetto alle tariffe, questo potrebbe rappresentare un rischio per eventuali investimenti futuri?
No, perché se il meccanismo è organizzato bene gli investimenti vengono ripagati dagli utenti, visto che ci sono le tariffe. Certo, se non il regolatore non permette di fare degli extraprofitti particolarmente abbondanti, allora può darsi che il regolato si dimostri meno volenteroso, ma questo è nella logica delle cose.
(Claudio Perlini)