Il Fondo monetario internazionale prevede una caduta del Pil italiano fino al 2,2% nel 2012. Il voto BBB+ assegnato da Standard & Poor’s all’affidabilità del debito italiano significa, tra le altre cose, che questo potrà restare rifinanziabile se il Pil non cadrà oltre il 3,6-4%. Le tendenze in atto non permettono di escludere una caduta fino al 4% e la conseguenza, oltre che di impoverimento grave da recessione, di una nuova ondata di sfiducia verso la capacità dell’Italia di sostenere il debito per difetto di crescita. Pertanto, sembra ovvio segnalare la priorità di misure forti per la crescita stessa.



Pochi giorni fa il governo ha pubblicato una tabella che mostra come l’Italia possa arrivare al pareggio di bilancio e sostenere il rifinanziamento del debito anche in caso di recessione dello 0,5% del Pil, estendibile all’1% con poche correzioni di bilancio. Ma non l’ha ripubblicata simulando una possibile caduta del 3-4% del Pil. Ha, invece, enfatizzato i risparmi delle famiglie dopo l’applicazione delle misure di liberalizzazione in alcuni settori e fatto intendere che questi porteranno a una crescita robusta.



Posso capire la necessità del governo di contrapporre allo scenario recessivo una profezia di grande crescita, ma è evidente che c’è una forzatura. La crescita non deriva direttamente da eventuali risparmi, pur importanti. Se una famiglia potrà risparmiare di più avrà bisogno di un ulteriore fattore per decidere se aumentare o meno i consumi. Così un’impresa al riguardo degli investimenti. Bisogna muovere le leve attive che spingono consumi e investimenti. Quelle mosse finora dal governo sono passive. Cosa veramente servirà?

Per muovere i consumi, semplificando, ci vuole la fiducia che il domani sarà migliore dell’oggi. Difficile individuare una misura che possa sortire questo effetto, perché si tratta di instaurare un clima psicologico diverso. Infatti, il governo sta tentando di crearlo esagerando l’effetto crescita delle misure, cioè con una politica dell’annuncio non dissimile da quella tentata da Berlusconi per forzare l’ottimismo di massa. Suggerirei di non praticare oltre misura questa opzione, perché porta all’effetto opposto.



È più facile individuare, invece, le misure che possono far ripartire gli investimenti, portando la missione di crescita più a carico di questi per poi diffonderla sul lato dei consumi. Tali misure sono: (a) rimozione degli impedimenti a licenziare allo scopo di incentivare nuove assunzioni; (b) promessa credibile di detassazione delle imprese, anche fra tre anni, ma certa; (c) incentivi straordinari al mercato immobiliare, in forma di deregolamentazione, deburocratizzazione e detassazione selettiva delle operazioni di costruzione. In sintesi, per convincere le imprese a investire e assumere, migliorando così il clima via incremento prospettico dell’occupazione, bisogna rimuovere le rigidità nelle regole del mercato del lavoro e dare loro un orizzonte di detassazione. Nelle contingenze, per far ripartire il volano della crescita in Italia bisogna togliere i lacci al settore immobiliare.

Il governo non ha ancora varato queste misure realmente pro-crescita perché teme la mobilitazione sindacale, non sente di avere il consenso per tagliare la spesa e così fare spazio a detassazioni future pur in pareggio di bilancio e sul settore immobiliare non ha le idee chiare. Se le chiarisca, invochi l’emergenza nazionale contro il conservatorismo sindacale e renda trasparenti i circa 35 miliardi di trasferimenti opachi alle imprese e di spesa inutile che restano stranamente intoccati nel bilancio.

 

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