Mario Monti l’aveva detto: le liberalizzazioni scontenteranno di più il centrodestra, la riforma del mercato del lavoro scontenterà di più il centrosinistra. In effetti, le liberalizzazioni approvate venerdì scorso dal Consiglio dei ministri trovano più consensi nel Pd e nel Terzo Polo e più malumori nel Pdl. Il motivo è chiaro: professionisti, notai, avvocati, farmacisti e taxisti votano più Pdl e Lega che Pd.



Il presidente del Consiglio, quindi, aveva previsto le reazioni dei maggiori partiti. Scorrendo il decreto, però, gli stessi partiti si stanno accorgendo – senza dirlo troppo in pubblico – che Monti sembra non aver del tutto rispettato il suo annuncio di incidere su tutti i settori, compresi i colossi a partecipazione e a controllo statale.



Partiamo dalla rete del gas. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, nel sintetizzare il decreto che era stato appena approvato in Consiglio dei ministri, venerdì sera è infatti partito proprio dal settore energetico per illustrare il provvedimento. Ma sbaglia chi pensa che l’Eni sia delusa eccessivamente dall’intervento dell’esecutivo. Il Cane a sei zampe temeva uno scorporo secco di Snam rete gas. Lo scorporo societario non c’è stato.

Infatti, la sancita separazione proprietaria riguarda l’intera galassia della quotata Snam, che si articola in quattro componenti tra cui Snam rete gas. Si dirà: il danno per il gruppo pubblico sarà quindi maggiore. Sbagliato. Certo, si vedrà di quanto l’Eni dovrà scendere in Snam e quanto incasserà dalla cessione. Ma i calcoli che ha già fatto l’Amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni sono eloquenti: l’Eni ha 26 miliardi di euro di debito. Di questi, 11 sono di Snam; per cui nel momento in cui Eni dovesse cedere Snam a 15 miliardi, il debito di Eni si ridurrebbe a circa 7 miliardi, consentendo nuovi investimenti al gruppo presieduto da Giuseppe Recchi. Ovviamente, andrà calcolato quanto perderà Eni di dividendi Snam, però va ridimensionata la certezza che il governo abbia penalizzato davvero, e pesantemente, il colosso energetico.



Anche i fuochi di artificio che si erano accessi, dopo la prima bozza del decreto in cui compariva lo scorporo della rete ferroviaria (Rfi) dal gruppo Ferrovie dello Stato alla diretta dipendenza del ministero dell’Economia, hanno lasciato spazio nel testo finale a una soluzione di compromesso che non ha fatto festeggiare troppo i privati di Ntv, la società di Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle che opererà nell’Alta velocità. Come e quando ci sarà la separazione proprietaria di Rfi lo deciderà l’Autorità delle reti e dei trasporti. D’altronde, dai dossier che le Ferrovie capeggiate dall’Amministratore delegato, Mauro Moretti, hanno fatto pervenire all’esecutivo si evince che pochissimi stati europei hanno adottato lo scorporo della rete. Insomma, il modello inglese auspicato da Ntv può attendere.

Il governo Monti ha deciso di limare finalmente le attività di Poste Italiane? Errato. Nel decreto non c’è alcuna norma che incide sul gruppo pubblico capitanato da Massimo Sarmi. Non c’è la separazione del Bancoposta auspicata dall’Antitrust. Non c’è la riduzione dell’ambito del servizio universale appannaggio di Poste. Non ci sono altre richieste minimali come quelle che erano state spedite al governo dai concorrenti di Poste, in primis Tnt Post Italia guidata da Luca Palermo. Evidentemente non è stata una semplice dimenticanza.

Anche le norme del decreto sulle liberalizzazioni che riguardano le concessionarie autostradali non sono troppo invasive per le società rappresentate dall’Aiscat presieduta da Fabrizio Palenzona. Ad esempio, l’introduzione del metodo del price cap per legare maggiormente i pedaggi autostradali a investimenti e produttività scatterà alla fine delle concessioni che, nel caso della società Autostrade per l’Italia dei Benetton, avverrà nel 2038.

 

Twitter@Michele_Arnese

Leggi anche

LIBERALIZZAZIONI/ Farmacie, banche e benzinai. Mingardi (Ibl): un "successo" solo mediaticoLETTERA/ Professioni, perché il Governo punta verso le società di capitali?LIBERALIZZAZIONI/ Forte: una farsa che premia i soliti "intoccabili"