Correva l’anno 2006. Il buon Bersani, allora ministro del Governo Prodi, oggi capo del Pd, assumeva il cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni, ritenendo così di far fronte ai privilegi di avvocati, tassisti e farmacie. Di quel decreto non è rimasto granché. Nell’anno 2012 il governo Monti torna alla carica e, oltre alle precedenti, aggiunge altre categorie all’elenco: trasporti, gas, assicurazioni, notai, carburanti…
Su Il Corriere della Sera il provvedimento dell’esecutivo viene presentato come un’apertura alla concorrenza: “Mai l’albero era stato scosso così”, sostiene Di Vico, mai in un colpo solo vi sono state liberalizzazioni tanto larghe e per così tante categorie. Partendo dall’analisi di alcune di queste “aperture”, quelle che riguardano i professionisti, mi permetto di non manifestare altrettanto entusiasmo. Il decreto contiene – per le professioni – l’abolizione delle tariffe (come aveva già fatto Bersani), aggiungendo l’obbligo di presentare un preventivo al cliente; inoltre, alcuni mesi del tirocinio professionale potranno essere svolti già sin nell’ultimo anno di Università.
Premetto che non mi interessa salvare a tutti i costi le tariffe. Ritengo però le misure assunte inutili e poco liberalizzanti. Se le altre misure assomigliano a queste, mi pare che possa parlarsi di occasione mancata più che di svolta storica. Purtroppo presso l’opinione pubblica si è ormai diffusa l’idea che senza tariffe il cliente sarà più tutelato e spenderà di meno. Non è così. Mi chiedo quante persone si rechino dal professionista perché è quello più “economico”, come si fa per andare a fare la spesa. Chi vi ricorre per un grave problema lo fa perché ne ha fiducia o perché ha sentito da amici, che ne hanno consigliato uno. Non è l’aspetto del compenso che, nella maggior parte dei casi, guida la scelta del cliente e chi vorrà assicurarsi le prestazioni di un bravo professionista lo farà indipendentemente da quanto chiede. Per chi non ha mezzi materiali, già ora vige il gratuito patrocinio.
È stata anche diffusa l’idea che vi siano privilegi da scardinare e che così si allargherà il mercato ai giovani. Come se ci fossero privilegi da custodire gelosamente e come se ci fosse il blocco di accesso all’attività forense per i giovani! Negli ultimi anni il numero dei nuovi iscritti all’Albo è aumentato vertiginosamente. Il vero problema è semmai che il mercato è pressoché saturo. Nella sola provincia di Forlì Cesena ci sono attualmente più di 800 professionisti, anche se non tutti operativi. L’Università continua a sfornare una miriade di futuri avvocati che dovranno trovare una propria collocazione rischiando in proprio e investendo sulla propria preparazione. Non cambia nulla anticipare di un po’ il tirocinio professionale.
Non parliamo poi di merito. L’unico effetto del provvedimento può essere quello di svilire ulteriormente le professioni, perché è evidente che per poter “ottenere” il cliente si prometteranno prestazioni per compensi giustificati solo dalla quantità delle pratiche acquisite, a discapito della qualità. Ma – visto che si torna alla carica in questo senso e visto il clima – mi sembra ormai più complicato resistere a questi luoghi comuni, rischiando di apparire come quelli che difendono d’ufficio il proprio “orticello” corporativo, piuttosto che prendere atto di un provvedimento che comunque cambierà poco o nulla.
Va bene, accettiamo pure di fare la nostra parte e di sottoporci – al pari degli altri – al grido di “dagli al privilegio di turno”. Ma la domanda è: “Veramente si crede di liberalizzare così il mercato”? Veramente un aumento di notai, di avvocati, di tassisti, di farmacie, i negozi aperti a tutte le ore, i benzinai che vendono per più compagnie e dai quali trovare anche i giornali, le agenzie assicurative che devono offrire più prodotti, veramente si può parlare in questo modo di apertura senza precedenti alle liberalizzazioni?
In sostanza, sarei anche favorevole a vere liberalizzazioni, che dovrebbero rendere possibile immettere sul mercato un maggior numero di beni e servizi, fruibili dai cittadini a condizioni più vantaggiose, diminuendo la presenza della mano pubblica nella società civile. Non mi pare che i provvedimenti assunti vadano sufficientemente in questa direzione, non migliorano più di tanto il mercato del lavoro (anche se pare sia in previsione un terzo blocco di provvedimenti da parte del governo) e non eliminano i mille lacci e lacciuoli che legano il cittadino e la sua iniziativa d’impresa nelle vischiosità dell’apparato burocratico-amministrativo.
Vero è che non vi sono alternative a questo governo. Ma, visto che esso si fregia del titolo di “governo tecnico”, slegato dal diretto apprezzamento dei cittadini, e visto che può vantare un certo margine di credito da parte dei partiti che lo sostengono, che gli deriva proprio dal fatto di non avere alternative concrete, un po’ più d’impegno da parte sua me lo sarei aspettato.