Tutti si auspicano un Paese liberalizzato, senza normative ossessive o “lacci e lacciuoli” come si usa dire, e quindi guardano con attenzione al processo di liberalizzazione predisposto dal Governo. Ma se le premesse sono che da questo “primo pacchetto” di liberalizzazioni si possa aumentare il Pil in modo consistente, i dubbi diventano più che legittimi. Si è partiti con grandi problemi, come lo scorporo della rete del gas che è stata rinviata con un procedimento abbastanza lungo, e si è poi ripiegato su taxi, farmacie e notai. Al momento il Paese rischia il blocco per l’azione di alcune categorie. I farmacisti dovrebbero entrare in sciopero il 1 febbraio. Non tutti sono d’accordo con questa agitazione, ma c’è qualcuno che si chiede, come Giulio Lapidari farmacista di Omegna (VB), se il destino dell’economia italiana, il suo futuro e il suo sviluppo dipenda proprio dalla liberalizzazione delle farmacie.
Che cosa non la convince di questo provvedimento?
Diciamo innanzitutto che al momento si è messo solo una “pezza”, anche un po’ pasticciata. I farmaci cosiddetti di “fascia C” saranno ancora venduti nelle farmacie. Poi mi sembra che si stia discutendo sul rapporto tra farmacia e abitanti, che attualmente è di una ogni quattromila. La si vuole portare a una ogni tremila abitanti. Vorrei solo fare notare che un rapporto corretto ed equilibrato esiste al Nord e nel Centro Italia, con relative deroghe per centri più piccoli, paesi che hanno magari duemila abitanti. Ma ci sono le carenze del Sud, dove i rapporti previsti sballano completamente e si presentano ovunque delle grandi emergenze ed esigenze. Allora il problema dovrebbe essere un altro e non conviene agire astrattamente.
L’Italia è un Paese di grandi tradizioni comunali, di piccoli centri che hanno comunque una vita ben calibrata ed equilibrata. In questi luoghi le farmacie che ruolo hanno svolto?
Sono state spesso un primo presidio sanitario nel territorio, un punto di riferimento per parecchie persone. C’è un rapporto continuo, puntuale e solido con le persone. È evidente che questo tipo di rapporto con una liberalizzazione accentuata rischia di saltare. Ed è un vero peccato perché rompe una vecchia e consolidata tradizione italiana.
In genere i farmacisti dicono che le farmacie svolgono anche altre funzioni utili.
Certamente. Ad esempio, cosa che nessuno dice, è proprio attraverso le farmacie che si può monitorare la spesa farmaceutica nazionale, che è in discesa da tempo.
Eppure c’è un problema di prezzi, di sconti, che viene sempre ribadito in questi giorni con insistenza.
Qui siamo veramente nel campo della disinformazione, gettata a mani basse nell’opinione pubblica. Oggi mi suggeriscono di fare lo sconto? Non ho problemi a farlo. Ieri mi chiedevano il contrario e io mi attenevo a quello che mi dicevano. Ma il problema vero restano i prezzi dei farmaci. Perché non si va al nocciolo della questione?
Quale sarebbe?
Il prezzo non lo facciamo noi, ma li stabilisce l’Aifa, l’organo competente del ministero della Sanità. Poi ci sono i brevetti che durano almeno dieci anni, poi c’è la “politica” dei prezzi delle multinazionali. Perchè non si interviene “a monte”, su questi problemi e invece si punta solo il dito contro di noi? Questo mi sembra un metodo scorretto e discutibile. E sostanzialmente non giusto.
In questo momento, come categoria, come vi sentite?
Beh, viviamo con disagio questa situazione, soprattutto per come viene spiegata dai media, con uno schematismo incredibile. E poi, è credibile che dipenda dai farmacisti uno ostacolo allo sviluppo dell’economia italiana e all’occupazione? Ci sembra una cosa che sta nel mondo dei sogni e non nella realtà.
(Gianluigi Da Rold)