L’inclinazione a spendere e spandere è una consuetudine italica che mal si accosta alla sobrietà del governo Monti. Scialacquare senza giustificazione fior di miliardi è pratica cui l’amministrazione pubblica dovrà disabituarsi. Va in questa direzione il rapporto sulla spesa pubblica italiana – che dovrà fungere da base per l’imminente spending review elaborata dal ministro dei Rapporti col Parlamento Piero Giarda. Che ha identificato dieci modalità tipiche con le quali i denari dell’erario vengono sovente dilapidati. Si va dall’utilizzo di fattori produttivi in misura eccedente la quantità necessaria, ai metodi di produzione obsoleti, dalla progettazione di opere incomplete ai nuovi programmi di spesa i cui benefici non sono superiori ai costi. Abbiamo chiesto a Giancarlo Pola, Professore di Finanza degli Enti locali all’Università di Ferrara, di commentare il documento redatto dal ministro.
Quali sono, a suo avviso, i tipi di sprechi che determinano la maggiore incidenza negativa a livello di costi?
Ho sintetizzato i dieci tipi del ministro Giarda in tre categorie che riassumono i principali difetti nella progettazione e nella messa in atto della spesa: a) sprechi nelle tecniche e nei modi di produzione; b) prodotti troppo ambiziosi, sfasati, o con benefici inferiori ai costi, errati nell’impostazione; c) prodotti in cui vi sia un’individuazione errata del destinatario. Per intenderci, i finti cechi.
Quali sono le principali cause di tali sprechi?
Nei primi due casi, aleggia prevalentemente l’ombra della politica. Se noi tendiamo ad adottare tecniche di produzione che, a parità di prodotto, implicano tra Regione e Regione divari evidenti in termini di personale assunto, è chiaro che c’entri in qualche modo la politica. Come nei casi delle grandi opere non portate a termine che, quando furono incominciate, diedero modo al politico che le aveva inaugurata di mettersi in bella mostra.
Ci sono altre colpe oggettive che prescindono dai favoritismi della politica?
Ci sono laddove sussista una certa quota, nel compiere determinate scelte relative alla spesa, di ignoranza, faciloneria e assenza di preparazione. Sovente, infatti, tali sprechi sono determinati dalla scarsa selezione a monte.
Pensa che ci possano anche essere particolari interessi in gioco? Mario Baldassari, su queste pagine, affermava che almeno 50 miliardi di sprechi siano legati a 3-400mila persone che in Italia, quotidianamente, affidano illegittimamente i propri affari a capitoli di spesa della Pa
Questo è sicuro. Quando Giarda parla di acquisti realizzati pagando prezzi superiori al mercato o all’effettivo valore è evidente che si tratti di un intreccio tra politica e affari all’insegna di interessi non salubri. Tuttavia, c’è anche una forma di spreco che non è condannabile tout court.
Quale?
È un genere più rilevante al Sud, ma presente anche al Centro e al Nord, che costituisce una sorta di welfare occulto; si tratta, spesso, di un modo per garantire quel minimo di pacificazione sociale, difficilmente ottenibile in altra maniera, assicurando, ad esempio, più posti in un’amministrazione comunale di quelli che servirebbero realmente.
Oggi, tuttavia, la pratica non è più sostenibile.
È vero, e se è per questo incide anche negativamente sulla ripresa. Rispetto a questo genere di spreco, tuttavia, è ben più grave e incisivo quello che avvantaggia quelle aziende che operano in condizioni opache e vivono in una zona grigia, in una sorta di economia protetta all’ombra della politica italiana.
Come si pone rimedio alla situazione?
Occorre avvicinare sempre di più il momento della spesa a quello dell’entrata corrispondente. In questo senso, il federalismo potrebbe ricoprire un ruolo importante. Tanto più l’ente preposto alla spesa è vicino al cittadino, tanto più il cittadino si sente responsabilizzato a verificare, in termini comparativi, l’entità dei soldi utilizzati per determinati prodotti o servizi.
Crede che il governo Monti riuscirà e modificare effettivamente lo stato di cose?
Credo che il governo Monti possa fare molto di quanto ha annunciato di voler fare laddove i partiti continueranno a garantirgli l’appoggio politico.
(Paolo Nessi)