Separare! Separare! Separare! Questo potrebbe essere il motto che era presente nella prima bozza del decreto liberalizzazioni che poi si è inabissato sotto la pressione dei sindacati. Un cambio radicale era necessario, in modo da avvicinare l’Italia ai migliori casi europei. Non è accaduto. Né separazione della rete, né un’autorità che abbia pieni poteri da subito. Le affermazioni di Mauro Moretti, Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, mostrano un’approvazione nei confronti del pacchetto “liberalizzazioni”. Secondo l’Ad di Fs, lo smembramento di Rete ferroviaria italiana dal gruppo Fs farebbe aumentare i costi. Moretti riporta il caso inglese dove i costi sarebbero aumentati del 200%; ma fronte di cosa? E, soprattutto, è davvero così?



Il caso inglese in realtà dovrebbe essere accompagnato negli esempi anche dal caso svedese. Fu infatti la Svezia il primo Paese a separare la rete dall’operatore ferroviario incumbent nel lontano 1988. La Gran Bretagna seguì a breve, ma non fu Margaret Thatcher ad aprire il mercato del trasporto ferroviario, bensì il suo successore John Major. Correva l’anno 1994 e il Regno Unito decise addirittura di dare la gestione della rete ai privati. Questa decisione si rivelò un errore (addirittura anche Margaret Thatcher si oppose alla privatizzazione della rete, ma chiaramente non alla separazione), perché ci fu un brusco calo degli investimenti. Una cattiva regolazione portò a dei forti sottoinvestimenti, che culminarono con una serie di disastri ferroviari. Da quel momento in poi, la Gran Bretagna decise di ridare al settore pubblico la gestione della rete, ma continuò a mantenere separati gli operatori ferroviari privati.



Quale risultato per questa gestione inglese a distanza di oltre 15 anni dal momento della separazione? In primo luogo è interessante vedere l’andamento del traffico passeggeri, espressi in passeggeri chilometro. Dal 1995 al 2010 (ultimo dato disponibile) nel Regno Unito la domanda di trasporto ferroviario è aumentata di oltre l’80%, mentre in Italia è decresciuta di un punto percentuale (Fonte Eurostat). Il trasporto ferroviario in Gran Bretagna, inoltre, è nell’ultimo quinquennio più sicuro di quello italiano. Qual è il secondo Paese in Europa per sviluppo del trasporto ferroviario? Non a caso è la Svezia, che vede uno dei sistemi più liberalizzati in Europa e che ha registrato una crescita di oltre il 60%.



E proprio sulla dinamica dei costi è interessante analizzare i dati dei diversi operatori della rete. Una variabile è molto interessante e indica chiaramente se la separazione ha portato a un aumento dei costi nella gestione della rete ferroviaria o meno: il costo operativo del gestore per treno chilometro espresso in euro. Vengono ora considerati tre paesi. L’Italia, dove non esiste una separazione reale, la Svezia e la Gran Bretagna, dove si è arrivati alla separazione quasi un ventennio fa. Il costo per treno chilometro in Italia è di 9 euro, un livello molto elevato se confrontato con gli altri due paesi benchmark. In Gran Bretagna infatti i costi operativi sono del 29% inferiori, mentre in Svezia la riduzione rispetto all’Italia è del 42%. Quasi la metà, un’enormità nel panorama ferroviario.

La mancata separazione porta dunque a un extra-costo molto rilevante per l’Italia e non si comprende bene da dove arrivino dunque i risparmi prospettati da Moretti. Se l’Italia avesse una gestione efficiente come quella svedese, ogni anno Rete ferroviaria italiana avrebbe dei costi operativi inferiori a quelli attuali per 1,2 miliardi. Questa cifra, casualmente, è quasi pari al totale dei contributi pubblici che ottiene dallo Stato Rfi. Si può dunque affermare che con una gestione separata della rete dall’operatore ferroviario, lo Stato potrebbe evitare di dare fondi a Rfi.

Un risultato sorprendente, ma fino a un certo punto, che rende però evidenti i vantaggi della liberalizzazione e in particolare i vantaggi di una reale separazione tra gestore della rete e principale operatore ferroviario.

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