«Purtroppo le informazioni che si leggono ultimamente non sono del tutto corrette, in quanto la liberalizzazione degli orari non è un fatto sporadico legato a una particolare località, ma è già avvenuta in tutta Italia: c’è una norma statale, la legge di conversione del Decreto Salva Italia, che ha di fatto esteso la liberalizzazione a tutti i Comuni d’Italia, diversamente da quello che era previsto dalla manovra dell’agosto 2011, che legava la liberalizzazione degli orari soltanto alle località turistiche e alle città d’arte». Insieme all’avvocato Giuseppe Dell’Aquila, Responsabile dell’Ufficio legale di Confesercenti, continuiamo a parlare della tanto discussa liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura dei negozi, che ha sostanzialmente diviso in due la rappresentanza dei commercianti: da una parte i grandi gruppi, che sperano in una totale liberalizzazione, mentre dall’altra i piccoli esercenti che temono una rapida e dolorosa chiusura. «Oggi la liberalizzazione degli orari coinvolge tutti i Comuni italiani senza alcuna differenza, – continua a spiegare Dell’Aquila – e diversamente da quello che è stato riportato da alcuni giornali, televisioni o radio, non c’è un termine per l’adeguamento da parte dei Comuni o delle Regioni a questa regola, perché il termine che è stato citato di 90 giorni non concerne il discorso relativo agli orari, ma quello ben diverso relativo alle aperture di nuovi esercizi in base alle programmazioni locali».
Quindi per quanto riguarda gli orari?
Per gli orari non c’è alcun termine perché già gli operatori di tutte le fasce della distribuzione, piccola, media e grande, sono liberi di aprire in tutte le ore della giornata e in tutti i giorni dell’anno senza alcuna differenza e previsione di obblighi di chiusura domenicale o festiva com’era invece previsto dalle leggi precedenti.
Cosa ne pensa?
Il progetto del governo era probabilmente quello di incentivare i consumi, e quindi spingere sulla leva degli acquisti, allargando la possibilità per i consumatori di servirsi degli esercizi commerciali in qualsiasi momento della giornata e della settimana. A nostro modo di vedere, ovviamente questa è un’idea abbastanza falsata della realtà perché non è consentendo alla gente di fare i propri acquisti la domenica che si aumentano i consumi dei prodotti, e crediamo che così facendo avviene un altro fenomeno, ben più pericoloso e che poi potrebbe riversare le proprie conseguenze negative anche sugli acquisti e sulla popolazione.
Di che fenomeno sta parlando?
La gente, anziché fare gli acquisti di generi di largo consumo e di abbigliamento nei giorni feriali, avrebbe maggiore facilità a farli nel weekend, e questo avverrebbe con ogni probabilità presso centri commerciali, ipermercati e outlet. Questo perché all’interno di questi grandi contenitori non vi sono solo negozi, ma anche tante altre attività attrattive, come cinema, sale giochi e ludoteche per bambini.
Quindi?
Di per sé questo non è un grande problema, ma come si può facilmente capire, se gli acquisti si effettuano maggiormente all’interno di quegli esercizi, durante i giorni feriali la gente non si rivolgerà agli esercizi della piccola e media distribuzione. Questo ovviamente porterà ad una chiusura di un maggior numero di negozi, e secondo le nostre previsioni la conseguenza nel prossimo triennio sarà una perdita di circa 76.000 esercizi commerciali, per effetto sia della crisi congiunturale sia della crisi avviata da queste liberalizzazioni. Inoltre la chiusura di 76 mila esercizi porterà alla perdita di circa 190 mila posti di lavoro, e si consideri che molti di questi posti di lavoro riguardano la categoria di lavoratori autonomi, i quali non troveranno facilità a una ricollocazione nel mercato del lavoro, quindi il problema si sposta sulle famiglie di questi lavoratori che resteranno senza fonti di sostentamento.
In che modo avete deciso quindi di intervenire?
Per tutto ciò abbiamo ritenuto di fare delle proposte alle Regioni per intervenire in contrasto con la previsione governativa, cosa che già è stata raccolta da alcune regioni: infatti nei giorni scorsi la Toscana ha comunicato un ricorso alla Corte costituzionale contro il provvedimento del governo, e si dice che la stessa cosa verrà fatta dal Piemonte e dalla Puglia, con Lazio e Lombardia che stanno invece pensando ad iniziative analoghe.
Secondo lei in che modo si può combattere il declino del piccolo commercio?
In generale, il piccolo commercio avrebbe bisogno di molti incentivi perché è il settore che senza dubbio ha subito il maggior danno da queste liberalizzazioni, in quanto con l’idea “benefica” di voler incentivare gli acquisti, in realtà si è danneggiata la rete esistente senza un corrispondente vantaggio né per i commercianti né peri consumatori, perché è chiaro che con le chiusure dei piccoli esercizi si crea una sorta di monopolio della grande distribuzione che non abbatte i prezzi come si crede, ma che anzi molto spesso fa presa su prodotti di punta per poi mantenere inalterati se non aumentare i prezzi degli altri prodotti.
Quindi il peggioramento rispetto a prima sul tema degli orari è davvero così evidente?
Riteniamo che sugli orari la politica precedente era ben congeniata perché c’era già la previsione di un numero adeguato di domeniche in deroga, e quindi a livello regionale i consumatori potevano tranquillamente contare su una serie di esercizi della piccola, media e grande distribuzione aperti anche la domenica. Non c’era davvero bisogno di inventarsi questa liberalizzazione che, come abbiamo detto in precedenza, va solo a danno della rete distributiva e della popolazione.
(Claudio Perlini)