Fino al 31 maggio 2012, il neo commissario del comune di Parma, Mario Ciclosi, ha deciso di sospendere il quoziente familiare, meglio noto come “quoziente Parma”. Una decisione difficilmente digeribile da gran parte della comunità cittadina e del mondo politico. Tra gli altri, l’onorevole Luigi Bobba, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, ha chiesto al ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che prima di salire al Viminale era stata Commissario a Parma, di invitare il suo successore a tornare sui suoi passi. Luca Pesenti, professore di programmazione del Welfare locale presso l’Università Cattolica di Milano, interpellato da ilSussidiario.net sulla vicenda, spiega: «Mi sembra una decisione che rischia di rivelarsi estremamente penalizzante nei confronti delle politiche familiari. Anche nel dibattito nazionale, infatti, il quoziente Parma aveva assunto una centralità simbolica tale da poter far apparire la richiesta di sospensione molto preoccupante».
Ci sono, tuttavia, una serie di problemi che Pesenti non nasconde: «Bisogna ricordare che la scelta nasce all’interno di un perimetro politico che è andato in crisi e sconta le difficoltà della precedente giunta; si tratta di una misura che prefigura costi aggiuntivi per il bilancio del Comune e, in questa fase di tagli, non è escluso che il Commissario sia intenzionato a verificarne la sostenibilità in termini di risorse». Al di là della forza simbolica che aveva assunto, il quoziente rimane gravato da una serie di problemi tecnici che rischiano di non consentirgli di raggiungere gli obiettivi di equità che si era preposto, in ragione del metodo di calcolo adottato.
«Il quoziente garantisce, in sostanza, uno sconto sulle tariffe di alcuni servizi comunali, quali asili, asili nido, o servizi socio-assistenziali, grazie a un coefficiente applicato alla tariffa calcolata con il tradizionale Indicatore della situazione economia equivalente (Isee), in modo da attribuire maggiori riduzioni di spesa alle famiglie con più figli». Quindi, più numerosa è la famiglia, meno costano i servizi. Un metodo che, tuttavia, secondo Pesenti, è perfettibile. «Benché, correttamente, tenga in maggior conto il numero di figli, non è in grado di recuperare equità rispetto ai redditi e ai patrimoni delle famiglie. Questo è il grande punto debole dell’Isee che il quoziente non ha risolto». Il problema sta dunque a monte: «Sono alcune caratteristiche che regolano il meccanismo stesso dell’Isee che non consentono il raggiungimento di un’adeguata equità verticale».
Eppure, non sono molti gli indicatori disponibili più integrali e comprensivi del reddito. «La provincia autonoma di Trento, ad esempio, utilizza l’Icef (Indicatore della condizione economica familiare), uno strumento regolatore del welfare fortemente correttore dell’Isee. Certo, ha potuto adottarlo in quanto provincia autonoma. Ma altri tentativi possono essere fatti: la Regione Lombardia, ad esempio, sta discutendo l’introduzione di un Fattore Famiglia, pensato per correggere buona parte dei difetti dell’Isee», afferma Pesenti. In conclusione: «Se la sospensione va nella direzione di un ripensamento per raggiungere una maggiore equità sia rispetto al numero dei figli che rispetto alla reale capacità reddituale, allora ben venga. Ma se al contrario si intende liquidare un tentativo comunque importante, allora saremo di fronte a un preoccupante passo indietro rispetto alla cultura delle politiche amiche della famiglia».