In questo benedetto Paese e in questa benedetta Europa, dove si fanno spettacolari ispezioni per strada della Guardia di Finanza a Cortina durante il periodo delle vacanze natalizie, dove si ripetono ispezioni sulla Riviera Ligure e negli “outlet”, c’è qualcuno che si occupa di quella che era la più grande banca italiana, cioè Unicredit? È vero che le macchine extralusso vanno guidate solo da ricchi virtuosi con il fisco. È vero che gli scontrini per caffè, mozzarella e lattuga vanno battuti alla cassa. È vero che bisogna girare per locali alla moda e ricordare comportamenti fiscali seri in nome del “senso dello Stato”, fortunatamente non si dice più la “maestà dello Stato”. Ma sarebbe possibile che anche gli azionisti, magari i piccoli, i risparmiatori, che si sono fidati, sappiano qual è il destino di Unicredit? Ed è possibile che le Fondazioni (che dovrebbero investire la ricchezza del loro territorio) che hanno partecipato (alcune controvoglia) già a tre aumenti di capitale conoscano il destino dei loro capitali investiti?
Dato che esiste una storia fiscale degli italiani, che si sta ricostruendo con il “bisturi” del Governo dei tecnici, sarebbe possibile conoscere il pensiero dei suddetti tecnici sulla storia e l’andamento di questa ex grande banca, che fino al 2007, dopo la fusione con Capitalia, capitalizzava più di 80 miliardi di euro e ogni sua azione valeva più di 7 euro? Ci sono stati due articoli di importanti commentatori sui grandi quotidiani nazionali negli ultimi giorni. Ma il quadro che esce da questi commenti è piuttosto complesso, per non dire troppo “tecnico” e confuso. Gli articoli erano di sabato, quando Unicredit, in tre giorni, aveva perso il 30% (arrotondiamo al ribasso) e oggi, lunedì, primo giorno in cui è scattata la ricapitalizzazione di sette miliardi di euro dopo l’accorpamento, Unicredit è andata sotto di più del 12%, dopo una sequenza di sospensioni.
Morale della favola, dopo una complessa operazione, la ricapitalizzazione è già sfumata e il titolo di Unicredit è intorno ai due euro, dopo che era stato, grazie all’accorpamento, riportato a otto euro. Come al solito, la Consob è già intervenuta per non ottenere nulla: vuole sapere se ci sono state vendite allo scoperto. Ma in questi anni, che cosa hanno fatto le autorità dopo tutto quello che è accaduto in Unicredit? Si è forse preoccupato delle grandi fusioni, magari masticando “mele marce”? C’era, si disse, un problema di dimensioni. Va bene, ma con quale modello di banca? Quello che pone, nella risorta “banca universale”, il valore e la felicità degli azionisti in primo luogo e l’espansione anche verso i mercati più avventurosi come quelli dell’Est? I clienti e i risparmiatori in che tipo di graduatoria, per importanza, vengono messi?
L’impressione è che per Unicredit sia arrivato il momento del “dunque”. Dopo lo sforzo di questi anni, dopo il 2009, quando il ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, premeva per un ricambio al vertice della banca, dopo l’accompagnamento alla “porta di piazza Cordusio” di Alessandro Profumo per “modici” 40 milioni di liquidazione, più due dati in beneficienza, l’impressione è che sia arrivato il tempo di una svolta. Certo, c’è l’Eba, l’autorità europea che impone la ricapitalizzazione. C’è la crisi in tutta Europa, c’è il sistema Paese che non cresce, ma il valore bruciato dalla Banca di piazza Cordusio in questi anni è tutto dovuto a questa crisi oppure c’è dietro una storia di errori madornali che hanno portato la capitalizzazione a dodici miliardi? E dove stavano le autorità competenti mentre la banca si muoveva tra annessioni e creazione di valore? Dormivano?
Il rischio reale per Unicredit è che, a questo punto, qualche investitore, diciamo ostico, arrivi con un’Opa e questa banca se la prenda con, relativamente, pochi soldi. Ieri sera, l’Amministratore delegato, Federico Ghizzoni, persona di grande valore (e questo non è detto ironicamente) ha rilasciato alcune dichiarazioni dove ha ammesso che non si aspettava questa reazione dei mercati. Ghizzoni ha comunque doverosamente rassicurato azionisti, risparmiatori e clienti, dichiarandosi “fiducioso” dell’operazione che ha dovuto affrontare. Ma non è certo Ghizzoni in questione. L’attuale Amministratore delegato eredita una delle più sconsiderate gestioni (peraltro applaudite dalla maggioranza degli osservatori), che può essere presa come uno degli esempi negativi più calzanti della grande crisi delle banche. Non si capisce perché quando si fa la storia dei politici italiani, si va a ripescare tutto e il contrario di tutto, quando c’è da fare la storia della finanza e dei finanzieri italiani, c’è un silenzio quasi assordante. Anzi, qualcuno voleva promuovere i protagonisti della vicenda al rango di ministro, a un ingresso in politica. Con l’applauso di molti. Alla faccia della competenza! Speriamo che nel nome della cosiddetta meritocrazia, non ci siano promozioni nella Pubblica amministrazione.