Il governo, mentre con una mano fa l’elemosina ai cittadini, con l’altra sfila loro il portafogli. Certo, in molti plaudono alla decisione di abbassare le aliquote Irpef minime dal 23% al 22% e dal 27% al 26%; pure l’aumento dimezzato dell’Iva (dal 10% all’11% e dal 21% al 22%), se compensato con lo sgravio fiscale risulta molto meno odioso. Tanto più che, secondo l’opinione comune, spostare l’imposizione tributaria dalle persone alle cose modernizza e rende efficiente il sistema fiscale. Ma la fregatura, a conti fatti, è dietro l’angolo. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, spiega a ilSussidiario.net perché. «Complessivamente, gli italiani ci rimetteranno un miliardo e mezzo di euro». Vediamo le stime: «Secondo i calcoli del governo, la riduzione dell’Irpef vale 4 miliardi per l’abbassamento dell’aliquota del 23% al 22%, mentre l’abbassamento di quella del 27% al 26% costerà un miliardo. Abbiamo stimato, tuttavia, che l’aumento dell’esborso per i cittadini derivante dall’aumento dell’Iva consisterà in 2,3 miliardi di euro per l’aliquota che passa dal 10% all’11%, e in 4,2 miliardi per quella che passa dal 21% al 22%». Ricapitolando, «l’abbassamento dell’Irpef ammonta a 5 miliardi di euro, l’innalzamento dell’Iva a 6,5 miliardi. La differenza consiste in 1,5 miliardi di euro. Questo, in sostanza, è quanto, complessivamente ci rimetteranno i contribuenti. Ripeto, sono stime provvisorie. Ma oculate e, probabilmente, al ribasso».
C’è una fascia di cittadini che, paradossalmente, ci rimetterà più delle altre. «Si tratta degli incapienti, coloro che, a fronte di un reddito inferiore agli 8mila euro, non sono soggetti al pagamento dell’Irpef. Va da sé, quindi, che se non pagano l’Irpef non beneficeranno neppure delle relative detrazioni. Contestualmente, tuttavia, saranno penalizzati dall’aumento dell’Iva». Parliamo di una platea decisamente ampia. Si trovano in questa situazione tutti i pensionati con la pensione minima, moltissimi lavoratori in cassa integrazione, con contratti part time, o parasubordinati. Per non parlare di coloro che, in ragione del proprio carico familiare, rientrano, di fatto, in queste categorie: si tratta, in tutto, di 8-10 milioni di persone». L’esborso complessivo non sarà particolarmente elevato, spiega Bortolussi. «Tuttavia, se consideriamo l’aumento generalizzato della pressione fiscale, il precedente aumento dell’Iva, il taglio agli enti locali con la conseguente necessità per moltissimi di questi di aumentare i costi dei servizi, il quadro si rivela a tinte fosche».
Non solo: «Oltretutto, saranno rimodulate le detrazioni e le deduzioni per i redditi sopra i 15mila euro. Non è ancora chiaro, ma, verosimilmente, saranno penalizzate le famiglie molto numerose». Non si capisce perché il governo, invece di far cassa colpendo la gente comune, non proceda secondo metodi più pratici e innocui, quali la riduzione del debito pubblico attraverso la vendita e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Il governo ha detto che è disponibile a vendere; tuttavia, le procedure concrete non sono così semplici. Anzitutto, occorre che ci siano degli acquirenti. Già in passato, inoltre, le cartolarizzazioni di Tremonti si rivelarono un fallimento. In ogni caso, la connotazione tecnica del governo incide non poco sulle decisioni intraprese.
«Monti sta svolgendo in maniera egregia quanto ci è stato chiesto dalle istituzioni europee. Sta effettuando un’operazione chirurgica delicatissima, e lo sta facendo nel migliore dei modi. Il problema, è che il paziente rischia di morire per mancanza di ossigeno». Fuor di metafora, «questa crisi è una crisi dei consumi e di sovraproduzione. Insistendo con l’austerità a prescindere dallo sviluppo, i cittadini risulteranno sempre più intimoriti. E, se avranno qualche soldo in tasca, invece di immetterli nel ciclo economico, li risparmieranno».
(Paolo Nessi)