Mario Monti si presenta oggi al vertice europeo meno forte di quanto non fosse nell’ultimo appuntamento. A giugno c’era addirittura il rischio che crollasse l’euro. Monti lanciò una proposta che non venne accolta (dare al Fondo salva-stati il potere di agire come una banca), ma riaprì il dibattito sulla necessità di salvare la moneta unica. Mario Draghi, ha fatto il resto.



Oggi la fase è del tutto diversa e la luna di miele è finita. A cominciare da quella politica. La legge di stabilità, l’ex finanziaria, ha provocato ieri una reazione che forse il presidente del Consiglio non si aspettava. Pier Luigi Bersani ha lanciato un vero e proprio altolà dalla tribuna della Confcommercio. Lo scambio tra meno Irpef e più Iva non va perché a conti fatti aumenta la pressione fiscale. Ma soprattutto il segretario del Pd solleva una questione di fondo: “Non possiamo deprimere la domanda”. Il nodo centrale del prossimo futuro resta sempre lo sviluppo: “Se non riparte l’economia non si risolve nulla con lo spread. Dobbiamo darci dei vincoli prima della legge di stabilità, occorre regolare il sistema finanziario e bancario, fare investimenti e attivare gli eurobond. Dobbiamo cominciare a fare operazioni su larga scala”.



Il governo tecnico sta perdendo la sua gamba sinistra? Certo, l’odore di elezioni si è fatto fortissimo, il Pd viene dato con il vento in poppa; anche se ha meno consensi di un tempo, è ampiamente il primo partito, mentre il Pdl è in rotta insidiato addirittura da Grillo. Il centro, allo stato attuale, non esiste. Dunque, Bersani alza il prezzo, tirando dalla sua parte Monti, cercando di placare le inquietudini dei vendoliani o quelle della Fiom che tra le formazioni a sinistra della sinistra è la più insidiosa per il Pd.

Ma, fatte tutte le analisi politiche del caso, resta un fatto: l’argomento di Bersani è forte ed è sostenuto anche dal Fondo monetario internazionale. Gli economisti guidati da Olivier Blanchard (un francese che ha studiato a Harvard, il tempio del keynesismo americano) hanno scoperto un’amara verità: le politiche di austerità provocano una reazione eccessiva nell’economia reale; è come una frenata troppo brusca che manda fuori strada il veicolo. Questo è vero in generale, ma ancor più nei paesi ad alto debito (Grecia e Italia) e ad alto deficit (Spagna e adesso anche la Francia).



Gli economisti teorici discuteranno se deriva dal modo in cui sono state applicate o da mutamenti strutturali avvenuti nel capitalismo globale tali da rendere obsoleti gli strumenti tradizionali della politica fiscale ed economica. Fatto sta che adesso il mercato reagisce male a politiche che dovrebbero, al contrario, lisciare il pelo alla bestia, riducendo i debiti (il deleveraging che riguarda lo Stato, le imprese, le banche, le famiglie) e creando le condizioni per un nuovo ciclo di investimenti. Dunque, si accende un allarme rosso. Ed è ora, dice il Fmi, di cambiare spalla al fucile.

Il messaggio vale ancor più per l’Unione europea. Perché è vero che gli Usa sono di fronte al “baratro fiscale”, cioè l’innesco automatico di politiche che per contenere l’indebitamento innescano una recessione, ma il prossimo Presidente e il Congresso possono correggere il percorso e comunque negli Stati Uniti i segnali di miglioramento sono ormai numerosi: occupazione, case, sentiment dei consumatori, settori industriali come l’auto o l’energia, sono tutti potenti fari nel buio. L’Ue invece sta scivolando nella recessione e anche i paesi come la Germania, che possono evitarla, sperimentano un netto rallentamento.

Dunque, occorre prendere dei rimedi. La priorità oggi non è più il consolidamento fiscale, ma la crescita, ha scritto esplicitamente il Fmi. La recessione europea diventa la principale fonte d’incertezza e di instabilità sui mercati. La prossima tempesta perfetta sarà una tempesta che parte dall’Europa. E nessuno dica che non era stato avvertito. Gli economisti questa volta hanno parlato chiaro.

Angela Merkel ha detto che vuole mettere sul tavolo del Consiglio europeo una pietanza diversa: il divario di competitività interno all’area euro e all’Europa intera. Vaste programme. Che doveva essere affrontato già molti anni fa e richiederà almeno un decennio per venir realizzato. Dunque, politiche dell’offerta non della domanda, riforme strutturali, aumento della produttività nei paesi, come l’Italia, che ne hanno bisogno.

Su questo punto, Monti non ha molto da offrire. Non c’è accordo nella trattativa sui nuovi contratti che avrebbe dovuto concludersi dentro il mese. La Cgil mette i bastoni tra le ruote. Ma nel frattempo la Confindustria spara sul governo dicendo che le sue misure sono controproducenti. Mentre Monti sembra convinto più dall’impostazione della Merkel che da quella dell’asse (implicito?) tra Squinzi e Bersani.

Intendiamoci, non si può fare la crescita in un Paese solo. Il bandolo della matassa sta sempre in Germania. Tuttavia, se l’Unione europea non ascolta le analisi del Fmi, chiude gli occhi davanti alle tensioni sociali (la Grecia è bloccata da due giorni di sciopero generale), non si rende conto che nemmeno governi amici di Berlino, come quello di Monti o di Rajoy, hanno i margini di manovra necessari per rendere digeribile il rigore fiscale, allora occorre che qualcuno abbia il coraggio di cambiare l’ordine del giorno, di scompaginare un’agenda che non tiene conto della realtà.

Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha proposto che l’Ue nomini un guardiano della stabilità, una sorta di superministro o supergovernatore. A parte la bizzarria di voler mettere la moneta di fatto in mano a un’autorità politica in competizione con la Banca centrale europea, la soluzione non è creare altre figure o altre istituzioni (una vera e propria fissazione della cultura giuridica germanica), ma far sì che quelle esistenti siano in grado di reagire ai mutamenti della situazione reale e di risolvere i problemi.

Non ci vuole un sorvegliante, ma un fixer, come nella canzone dei Pearl Jam: “Quando c’è buio voglio qualcuno che accenda la luce/ quando fa freddo qualcuno che accenda un fuoco/ quando tutto si rompe qualcuno che metta insieme i cocci/ quando tutto sembra perduto voglio lottare per ricominciare di nuovo”.

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