In un afflato natalizio anticipato, Moody’s ha deciso di non degradare a spazzatura il debito spagnolo, almeno fino alle elezioni presidenziali Usa del prossimo novembre. Perché infatti turbare la campagna elettorale di Obama, forte della vittoria nel secondo dibattito con Mitt Romney? E poi, chi glielo fa fare di mettere a repentaglio quel disfunzionale fondo speculativo travestito da banca che è Deutsche Bank, solo falsamente interessata al rigore e a un salvataggio su larga scala di Madrid: se l’altro ieri dalla Germania sono arrivati refoli di apertura verso una linea di credito che non contempli vincoli su ulteriori misure di austerity è proprio perché il gigante dai piedi d’argilla sarebbe la prima vittima di questa ipotesi, non certo perché i tedeschi sono diventati più buoni. Tant’è, il combinato disposto di tutto questo ha messo il turbo alle Borse e schiacciato gli spread sui minimi da sei mesi a questa parte.



Eppure, io ho un dubbio: non sarà che questa benevolenza diffusa sia frutto di altro, ovvero che al netto di debiti da far ovviamente dimagrire, la questione più grave per la tenuta del sistema non sia l’Europa, ma ancora una volta gli Usa? Qualche indizio.  Martedì Vikram Pandit, il ceo di Citigroup, ha annunciato a sorpresa le sue dimissioni con effetto immediato, sostituito da Michael Corbat, che guidava la divisione Europa, Medio Oriente e Africa, oltre al portafoglio non core dell’azienda. Oltre a Pandit ha dato le dimissioni anche il presidente e direttore operativo, John P. Havens.



Con l’addio dei due, Citigroup cambia completamente la squadra che aveva guidato la banca nel corso della crisi finanziaria del 2008, durante la quale Citigroup ha ricevuto aiuti per 45 miliardi di dollari. Commento di Zerohedge alla notizia: “I topi cominciano ad abbandonare il Titanic prima che si inabissi”. Non ho nulla da aggiungere, basti dare un’occhiata all’esposizione di Citi ai derivati. Ma andiamo oltre. Sempre martedì, ovviamente oscurato dalla notizia delle dimissioni di Pandit, è giunto anche il dato mensile del Treasury International Capital, il quale ha evidenziato un grosso aumento degli acquisti esteri di asset Usa a lungo termine, ovvero debito a stelle e strisce: nel mese di settembre sono stati registrati acquisti per 78,5 miliardi di dollari, il maggiore inflow del Traesury dai 102,6 miliardi di gennaio.



Gli acquisti hanno interessato tutte le categorie di debito, con bonds Agencies e Corporate tra i maggiori beneficiari, rispettivamente a 18,6 e 10,8 miliardi di dollari, mentre il long term TSY ha visto un andamento in linea con i mesi precedenti a 42,9 miliardi di dollari. Ma a destare maggiore interesse è stata la composizione degli acquirenti, con praticamente zero acquisti per il secondo mese consecutivo  da parte del più grosso detentore di debito Usa dopo la Fed, ovvero la Cina, le cui detenzioni sono sempre alla ragguardevole cifra di 1.154 miliardi, ma in calo di 12 miliardi dall’inizio dell’anno e di 125 miliardi di dollari rispetto l’ottobre dello scorso anno.

Chi invece continua ad acquistare debito Usa come se non ci fosse un domani è il Giappone, nazione che deve fare i conti con un quadrilione di yen di debito proprio e con una ratio debito/Pil oltre il 200%! Insomma, uno schema Ponzi obbligazionario in piena regola, poi vanno a chiedere lacrime e sangue agli spagnoli! Guardate questo grafico.

La differenza tra le detenzioni totali di debito Usa di Cina e Giappone è scesa a un minimo record di 32 miliardi di dollari e molti analisti pensano che il sorpasso da parte di Tokyo come principale detentore di debito Usa sia ormai imminente. Insomma, siamo alla geofinanza della crisi asiatica. O, forse, a qualcosa di più. Se infatti, come cotè finanziario della crisi tra i due Paesi, la Cina minaccia di scaricare il debito giapponese che detiene, Tokyo cerca di rafforzare il legame con Washington sostituendosi a Pechino nell’acquisto di debito a stelle e strisce, incurante della propria situazione debitoria devastante. Ma, cari lettori, tutti i problemi del mondo risiedono nella disastrata e cicala Europa!

C’è poi un altro motivo, il quale è il principale argomento di valutazione e analisi da parte del Dipartimento di Stato Usa ultimamente: la Cina non compra più debito Usa anche per un altro motivo, ovvero i soldi cinesi stanno andando sempre più all’estero verso altre destinazioni e assets. I cittadini cinesi più facoltosi, infatti, stanno comprando proprietà immobiliari a Cipro, pagando rette faraoniche per far studiare i loro figli nelle università della Ivy League statunitense o acquistando beni di lusso a Singapore, nonché movimentando un fiume di denaro attraverso i sempre più diffusi money-transfer. La aziende cinesi, dal canto loro, stanno facendo sempre maggiori acquisizioni estere, comprando risorse naturali e lasciando i loro profitti a maturare all’estero. Insomma, ai cinesi facoltosi il regime e le sue regole stanno sempre più strette: e questo interessa molto negli Usa, dove l’ipotesi di una rivolta liberale a Pechino innescata dal più puro spirito libertario verso la proprietà e il mercato è vista come ancora lontana ma in embrione.

E ancora. Tornando agli Usa, si registra una discrepanza quasi senza precedenti tra fiducia dei consumatori e delle imprese, con i primi euforizzati dal rimbalzo nel mercato immobiliare (di cui parleremo dopo) e le seconde sempre più spaventate dall’approssimarsi dal cosiddetto “fiscal cliff” di inizio anno. Il Business Condition Index di ottobre pubblicato da Morgan Stanley parla chiaro, un collasso dal 55% di settembre al 41% attuale. Insomma, a fronte di consumatori che sperano nel terzo round di QE della Fed e nel dato inaspettatamente positivo sul tasso di disoccupazione, in ottobre il 51% delle aziende ha rivisto al ribasso le sue condizioni di operatività per timori legati al “fiscal cliff” e al fatto che questo argomento dovrà essere affrontato da Democratici e Repubblicani assieme a soli due mesi dal voto.

A far paura sono soprattutto i report di ottobre sui noleggi, con gli indici al riguardo piombati ai minimi poliennali. L’hiring index è sceso di 10 punti al 44%, il peggior dato da dicembre 2009, mentre l’hiring plans index ha perso 13 punti scendendo anch’esso al 44%, i minimi dall’agosto 2009. Certo, l’alta volatilità del periodo non rende questi dati una condanna assoluta, ma fa riflettere – e non poco – sul reale stato di salute dell’economia non-finanziaria Usa.

In contrapposizione, l’NAHB homebuilder index, quello dei costruttori edilizi, è salito al massimo da sei anni a questa parte, dato che fa prevedere a Deutsche Bank un duplicazione del numero di nuove case nell’arco di sei mesi. A spingere il settore è in particolare la domanda di rifinanziamenti, visto che approfittando dei tassi di interesse praticamente azzerati dalla Federal Reserve, molti mutuatari stanno rinegoziando il vecchio contratto, magari chiedendo anche nuova liquidità. Secondo Jp Morgan, infatti, il 75% dei volumi sui prestiti generati nel terzo trimestre deriva da operazioni di rifinanziamento, figlie legittime della liquidità a cascata – anzi, dallo schema Ponzi – di Bernanke.

Nemmeno a dirlo, questa notizia ha ridato il là al mercato delle cartolarizzazioni di mutui, ovvero all’impacchettamento dei crediti ipotecari in prodotti derivati agganciati ai mutui che vengono acquistati direttamente dalla Fed, il male assoluto che ha dato il là alla crisi iniziata nel 2007. Eh già, perché voi pensate che le banche che erogano mutui abbiano paura di non essere ripagate per quei prestiti, invece non è così. Loro quei mutui mica se li tengono in pancia come liabilities, li vendono alle cinque sorelle – le grandi banche d’affari di Wall Street per tenere in vita le quali Bernanke inonda il mondo di liquidità – le quali a loro volta li impacchettano, mischiandoli e cartolarizzando il rischio che vendono a voi, ai vostri fondi pensione o a quelli di categoria che li pensano investimenti remunerativi e sicuri. Quindi, siete voi a pagare il rischio di insolvenza sui vostri mutui: le banche, se succede qualcosa, le salva il governo.

Quanto sta accadendo ha quindi la conseguenza positiva di far ripartire la domanda delle famiglie e il mercato immobiliare, ma il rovescio della medaglia è che per la ragione appena espressa alle banche interessa vendere contratti derivati a più non posso per ottenere profitti immediati, quindi offre mutui facili a tutti, al di là del merito di credito reale. Sicuri, al netto di questa fotografia degli Usa pre-elettorali, che il problema sia davvero la vecchia e indebitata Europa? Questo è il debito Usa al 15 ottobre scorso:

 

Proprio sicuri che dobbiamo prendere lezioni?