L’Italia montiana, centrale in Europa e con eccellenti rapporti con l’America, rischia un isolamento prossimo alla marginalizzazione nel settore della difesa. Sembra un paradosso, ma non lo è. Il progetto di fusione tra l’inglese Bae e la franco-tedesca-spagnola Eads è emblematico di questo rischio, anche se in Italia si preferisce accanirsi contro Er Batman, eccitarsi con l’iPhone5 e discettare delle idee di Zeman. Certo, il governo – dopo un assordante silenzio che Formiche.net ha denunciato fin dall’inizio – ha fatto trapelare la notizia di una riunione in programma per il 16 ottobre con i vertici di Finmeccanica. Meglio tardi che mai? Forse. Ma non ne siamo sicuri.



Facciamo un passo indietro. Nel dicembre del 1997, erano stati proprio i governi francese, tedesco e inglese a chiedere l’istituzione di un’unica e integrata società europea dell’aerospazio e della difesa (Eadc). Il progetto di una società aerospaziale e di difesa europeo però non andò in porto. L’inglese British Aerospace decise di assorbire Gec Marconi per diventare Bae Sysytems, la francese Aerospaziale/Matra si fuse con la tedesca Dasa e la spagnola Casa, per formare Eads. La sfida europea che avrebbe dovuto ridimensionare i colossi americani Boeing e Lockheed fu quindi rimandata.



I due gruppi (Eads e Bae), che collaborano da tempo in programmi quali Eurofighter, o sono partner in joint venture come Mbda sistemi missilistici, hanno capacità di penetrazione su mercati diversi. Bae si è specializzata in sistemi di difesa e ha messo solide radici negli Stati Uniti, dove ha trasferito da tempo il cuore della propria attività. Eads si è specializzata nel settore dell’aviazione civile (Airbus, Eurocopter, Astrium) in quanto quello militare rappresenta solo il 25% del fatturato (Cassiadan).

I business – secondo la Reuters – si dimostrano quindi complementari e “permetterebbero a Eads di entrare nel mercato americano, e a Bae di sollevarsi, visto che è stata colpita dai tagli alla difesa nei mercati inglese e americano (22.000 posti di lavoro in meno in tre anni)”. Per entrambe vi sarebbe un beneficio nel campo dell’elettronica della difesa.



In base al piano annunciato, ai governi francese, tedesco e britannico dovrebbero essere assegnate azioni speciali del tipo golden share che il governo britannico vanta attualmente su Bae. Questa azione permette infatti di difendere gli interessi specifici di alcuni Stati come la Francia, che ha una convenzione speciale con Eads sulla deterrenza nucleare, e proteggere gli accordi fra gli inglesi e gli americani firmati quando Bae ha acquistato United Defense Industries negli Stati Uniti.

In Italia, invece, prevale un silenzio assordante e preoccupante. L’analista Francesco Galietti, già consigliere al ministero dell’Economia durante il precedente governo Berlusconi, sul numero di ottobre della rivista Formiche scrive: “Oggi, mentre gli altri varano ambiziosi piani di integrazione in cui non siamo coinvolti, ci ritroviamo spettatori delle manovre per la vendita ad acquirenti stranieri di intere pagine di storia industriale patria”.

Urge quindi una strategia industriale italiana e visioni chiare. Come quella del passato vertice di Finmeccanica? “Pier Francesco Guarguaglini, l’artefice del boom di Finmeccanica”, si legge nel saggio di Galietti su Formiche, “aveva intuito la necessità di mettere il turbo a Finmeccanica allargandone i confini e radicandola nel più grande mercato della difesa mondiale mediante l’acquisizione di Drs”. Insomma, “una Finmeccanica più atlantica per crescere, evitare i rigurgiti del nanismo italiano e fuggire le insidie della concorrenza europea”.

E la visione del governo attuale e di Finmeccanica qual è? Forse le idee si chiariranno nel prossimo incontro tra esecutivo e vertici del gruppo di Piazza Monte Grappa. Magari dopo il redde rationem tra il Tesoro e l’attuale numero di Finmeccanica: tra Vittorio Grilli e Giuseppe Orsi non sembra esserci particolare sintonia.

Non serve ricorrere a gossip o rievocare controverse questioni di consulenze. Basta solo ricordare che c’è la disponibilità di Fsi, il Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti (70% del Tesoro), a rilevare la quota in vendita di Ansaldo Energia, controllata di Finmeccanica, che Orsi pare disposto a vendere alla tedesca Siemens anche grazie all’advisor scelto: la tedesca Deutsche Bank.