Come lo si racconta nei “corridoi del potere” (vero o presunto) di Bruxelles e, soprattutto, al ristorante Eisenstein di Berlino – quello sulla Unter den Linden all’angolo con il Ministero federale dell’economia – sembrerebbe trattarsi di una “commedia all’italiana”, quelle a basso costo degli anni Cinquanta, firmate da Steno e con Totò e Yvonne Sanson come protagonisti. Invece, la materia è molto seria.



In breve, all’eurovertice della settimana scorsa, il Cancelliere Angela Merkel ha lanciato due colpi a sorpresa: la proposta (poi ritirata) della nomina di un supercommissario all’analisi preventiva dei bilanci di previsione dei 17 dell’eurozona e la richiesta (accettata dal resto del Consiglio europeo) che il finanziamento per la ricapitalizzazione di istituti bancari non potrà essere retroattivo ma potrà essere effettuato dall’European stability mechamism, Esm (comunemente chiamato il Fondo salva-Stati), solamente dopo che sarà entrato in vigore il nuovo sistema europeo di vigilanza bancaria (quindi non prima del 2014).



Non si tratterebbe di spari a salve, ma di pallottole ben mirate e, in certo qual modo concordate tra il Cancelliere e il Presidente del consiglio spagnolo, Mariano Rajoy. Perché i due leader hanno un interesse e un obiettivo convergente: evitare che la Spagna faccia domanda ufficiale di accesso al Salva-Stati e, quindi, all’Outright monetary transactions (Omt) della Banca centrale europea (Bce). Per Rajoy, una domanda ufficiale di aiuto vorrebbe dire non solamente “perdere la faccia” (aspetto, peraltro, a cui gli spagnoli danno molta importanza), ma anche subire un forte aumento del debito pubblico.



Il resto dell’eurozona si è impegnato a mettere a disposizione della Spagna sino a 100 miliardi di euro per salvare un sistema bancario sull’orlo del tracollo (ma solo una piccola parte è effettivamente disponibile). A metà ottobre, Madrid avrebbe fatto sapere, tramite canali diplomatici, che ne avrebbe utilizzati 40 (ammesso che fossero in cassa). L’ipotesi di Madrid era che gli “aiuti” sarebbero andati direttamente alle banche, del cui rimborso gli istituti medesimi sarebbero stati responsabili.

Da venerdì sera 19 ottobre è evidente che se Madrid farà la richiesta, i 40 miliardi andranno ad accrescere il suo debito pubblico e saranno accompagnati da “condizionalità” (una lettera analoga a quella ricevuta a Roma lo scorso novembre e che ha innescato il cambiamento di Governo in Italia), nonché da un programma di vigilanza. Sinora, Madrid non è stata destinataria di richieste simili, nonostante la Spagna sia da tempo in condizioni non certo migliori dell’Italia.

Le interpretazioni sulle ragioni della disparità di trattamento possono essere le più varie. Probabilmente, nessuno vuole che Rajoy faccia un passo indietro e si accentui il separatismo catalano, basco e via discorrendo, riportando il Paese ai tempi delle “guerre carliste”.

Vediamo il quadro dal punto di vista della Signora Merkel. Una richiesta di aiuto da parte della Spagna non potrebbe – dopo la sentenza della Corte Costituzionale tedesca – che portare a un dibattito al Bundestag. Attenzione, anche ove non ci fosse stata la sentenza della Corte, il dibattito sarebbe necessario per le ragioni giuridiche illustrate su questa testata il 19 settembre. Difficile prevedere i risultati del dibattito: a Berlino c’è chi teme una possibile sfiducia prima delle elezioni in importanti Länder il prossimo settembre. Una Repubblica federale tedesca con serie difficoltà di politica interna non conviene a nessuno.

La domanda che si pone è sino a quando Angela Merkel e Mariano Rajoy riusciranno a tenere il gioco – un galleggiamento di equilibri molto delicati. E quali le implicazioni per l’Italia? Se l’”equilibrio alla Nash” (dinamico, quindi, non statico) tra Spagna e Germania tiene, non è da escludere che i mercati internazionali rivolgeranno la loro attenzione a una Roma dove non si sa ancora in base a quali regole il 7 aprile si andrà a rinnovare Camera e Senato. C’è poco da stare allegri.

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