Il vuoto Finmeccanica. Sono settimane che Finmeccanica occupa le pagine dei quotidiani (quelle finanziarie, ma anche quelle di cronaca giudiziaria) con brutte storie, quelle di sempre, diventate il leitmotiv della vita nazionale italiana: tangenti pagate per vincere commesse internazionali (per la verità, prassi diffusa fra tutti i grandi protagonisti mondiale del settore difesa) e in parte stornate a politici che hanno favorito e poi garantito la carriera di manager amici e capaci di sdebitarsi dei favori ricevuti ricorrendo, appunto, alle bustarelle. Ieri il caso ha fatto un salto, peggiorativo, con l’arresto dell’ex direttore commerciale, Paolo Pozzessere, e l’iscrizione fra gli indagati dell’ex ministro Claudio Scajola, già presente in più di una vicenda giudiziaria di anni recenti (la più nota, il famoso appartamento con vista sul Colosseo comprato con un mutuo pagato da non si sa chi).
In un contesto europeo che vede i grandi player cercare di aggregarsi per ottenere sinergie ed essere più agguerriti sui mercati internazionali dominati dai colossi statunitensi, la nostra Finmeccanica è ferma, quasi non operativa, tutta tesa a leccarsi le sue ferite e a difendersi di fronte ad accuse ogni giorno più imbarazzanti e circostanziate. È chiaro che così l’azienda sta viaggiando verso un’agonia dalla quale le sarà difficile uscire. L’azionista di controllo di Finmeccanica, cioè il governo, deve colmare questo vuoto e può farlo solo con un ricambio generale del management. L’attuale amministratore delegato, Giuseppe Orsi, a sua volta indagato sempre per una storia di tangenti, non è più credibile: quale cliente internazionale accetterebbe di essere in affari con un manager chiacchierato per via di bustarelle passate sotto mano per favorire la firma di un contratto? Quindi sarebbe bene che Mario Monti e il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, cui spettano le decisioni in materia, decidessero di sostituirlo. Ma non con una semplice operazione di maquillage, per rendersi più presentabili sulla scena internazionale: qui è tutto il top management che deve essere rimaneggiato, sostituito con persone esterne al di sopra di ogni sospetto, che non possano mai risultare coinvolte negli affari poco chiari conclusi in passato.
La Finmeccanica di oggi è un aereo che perde quota vistosamente e ha bisogno di un nuovo pilota. Ci vorrebbe un’operazione analoga a quella che ha portato Anna Maria Tarantola alla presidenza della Rai: un personaggio di qualità, proveniente da un ambiente diverso, senza legami con le camarille che infestano l’azienda che è andata a guidare. Monti e Grilli dovrebbero trovare qualcuno di simile e metterlo in cabina di pilotaggio. Identikit difficile, ma non impossibile. Già tempo fa era girato il nome di Franco Bernabé, attuale presidente operativo di Telecom Italia, quando era incominciato a profilarsi il caso di Pier Francesco Guarguaglini, per anni padre-padrone di Finmeccanica e in gran parte origine dei guai di oggi. Poi non se ne è più parlato. Ora è il caso di riaprire questo dossier e rapidamente. Bisogna trasmettere il messaggio che le inchieste riguardano il passato e che Finmeccanica ha imboccato un’altra strada, perfettamente trasparente. Se a Monti e Grilli non va bene Bernabè, che pure ha una preziosa esperienza internazionale avendo guidato per anni l’Eni prima di passare a Telecom, ne individuino un altro. Ma facciano il loro dovere di azionisti che consiste nell’affidare le aziende che controllano a manager affidabili e presentabili.
Buongiorno Giannini. Sono mesi che i giornali (cartacei e on line) compreso il Sussidiario dicono che in tutta la vicenda Fonsai sono avvenute cose incredibili e che le autorità di controllo avrebbero fatto bene a muoversi, a dare un’occhiata a quell’assicurazione gestita per anni come un feudo personale dagli azionisti di riferimento, vale a dire la famiglia di Salvatore Ligresti. Troppi erano i segnali di allarme: spese personali (tipo scuderie di cavalli) scaricate sulle società; immobili e terreni venduti a prezzi opinabili alle assicurazioni, e così via. Essendo Fonsai una compagnia di assicurazioni quotata in borsa è sottoposta a due filtri di controllo: Isvap e Consob. Che hanno tergiversato a lungo prima di muoversi. Lo ha fatto invece la procura di Torino (è lì la sede legale della società) mandando la Guardia di Finanza a perquisire la l’ufficio e l’abitazione di Giancarlo Giannini, per lunghi anni presidente dell’Isvap e ora commissario straordinario della stessa authority. A Giannini viene rimproverato un eccesso di fiducia e di simpatia nei confronti della compagnia di Ligresti: per dieci anni, Fonsai non avrebbe ricevuto nessuna ispezione di controllo da parte dell’Isvap, che invece normalmente mette sotto la lente le altre assicurazioni ogni due-tre anni, per accertare che tutto sia fatto regolarmente. Sarà interessante sapere come giustificherà Giannini questa sua condotta; ancora più interessante scoprire se il governo gli confermerà l’incarico o gliene attribuirà un altro, ma sempre prestigioso e ben remunerato.
Tobin a Milano. È stata salutata con favore l’introduzione della Tobin tax sulle transazioni finanziarie appena approvata da 11 paesi dell’Unione europea fra i quali l’Italia. In effetti è la prima tassa che l’Europa (almeno una gran parte) decide all’unisono e può fare da apripista ad altre misure analoghe. Salvatore Bragantini, uno dei più intelligenti commentatori finanziari italiani, l’ha però demolita: non verrà applicata dalla Gran Bretagna, dove si concludono i tre quarti delle operazioni finanziarie europee; dunque è un’imposta che ha un valore più che altro simbolico, ma non porterà gli incassi sperati e, soprattutto, non fermerà la speculazione, abituata a passare con grande disinvoltura da un mercato all’altro, individuando ogni volta quello più conveniente. Vedremo. Unico risultato certo è che Milano ne soffrirà: già scesa in dieci anni al ventesimo posto fra le piazze finanziare mondiali, con l’arrivo della Tobin rischia di perdere ancora qualche posizione. Che stia per diventare un ente inutile?