L’intellighenzia liberista in Italia è ormai scatenata. Mentre nel mondo non si scorgono chiare politiche di riduzione della presenza dello Stato dall’economia, in Italia gli intellettuali propugnatori del libero mercato hanno trovato un obiettivo da trafiggere. 

Non si può infatti dire che gli economisti giavazziani de Lavoce.info mollino la presa facilmente. Tito Boeri e Luigi Guiso in questi ultimi anni hanno preso di punta le fondazioni di origine bancaria e di recente dalle colonne di Repubblica il ruolo stesso della Cassa depositi e prestiti, controllata al 70% dal Tesoro e al 30% dagli enti di estrazione creditizia. 



Nelle ultime settimane è cresciuta infatti l’attenzione delle firme liberiste italiane nei confronti della società presieduta da Franco Bassanini e guidata dall’ad, Giovanni Gorno Tempini. Ricordiamo Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, Luigi Zingales sul Sole 24 Ore e, appunto, Boeri e Guiso che hanno voluto sottolineare i presunti conflitti d’interesse che si anniderebbero fra fondazioni, Cdp e ministero dell’Economia.



Come mai tutta questa attenzione e come mai proprio in queste settimane? Beninteso, nessuna dietrologia: gli autori di queste polemiche sono ben convinti dalle loro idee, che di sicuro non sono strumentali. Tuttavia, è indubbio che l’approssimarsi di alcune scadenze renda più appetibile il dibattito, come ha notato Jack Sparrow su Formiche.net

Il 31 ottobre si celebrerà la Giornata del Risparmio e Guzzetti ha coinvolto il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e il governatore della Banca d´Italia, Ignazio Visco. Non solo. La scadenza dell’attuale vertice di Cdp è prevista per la prossima primavera. Non sorprende quindi che ci siano grandi manovre in corso. La presidenza, ora di Franco Bassanini indicato dalle fondazioni e in primis dalla fondazione Mps, e il ruolo di ad, ora nelle mani di Giovanni Gorno Tempini, vicino a Giovanni Bazoli ma scelto da Giulio Tremonti e Vittorio Grilli, sono appetibili.



Il punto vero, però, è un altro. Fondazioni bancarie e Cdp sono state e sono un perno fondamentale dell’economia italiana. Gli enti, in effetti, sono un particolarissimo Frankenstein (come da felice definizione di Giuliano Amato), un incrocio inedito fra Stato, privati, enti no profit. È fuori di dubbio che in un Paese che, nel male e anche nel bene, non ha un’economia pienamente di mercato, questi soggetti con la Cdp svolgono una funzione de facto di politica industriale e di finanziamento alle imprese che è impensabile nella cultura liberista anglosassone.

Su questo è del tutto legittimo avere opinioni diverse. Meno corretto è dipingere fondazioni e Cdp come luoghi dell’opacità, come spesso sostengono gli intellettuali liberisti. È invece condivisibile l’opinione che sarebbe utile (alle casse di risparmio per prime) una vigilanza più stringente da parte del Mef e regole più chiare sulle incompatibilità “politiche” nelle governance delle fondazioni. Su questi aspetti, va detto, il presidente dell´Acri, Guzzetti, non ha mai fatto melina, anzi. E la Carta delle fondazioni è lì a dimostrarlo, in parte.

Il punto di fondo resta quindi quello se abbia senso in Italia avere un patrimonio finanziario ed economico come quello rappresentato dalle fondazioni bancarie e dalla Cdp. Boeri e Guiso, ma anche Giavazzi e Zingales, pensano di no. Posizione rispettabilissima, ma non per questo un dogma. L’economia sociale di mercato non è una scienza esatta, ma forse si addice, più e meglio del liberismo inglese, alla tradizione del nostro Paese, che non è tutta da buttare.

Questo sul piano teorico. Per il livello più fattuale, a volte si dimenticano la pervasività della Cdc francese e della Kfw tedesca, come ha ribadito anche un recente studio di Mediobanca Securities. Certo, si potrà anche gridare al mostro tentacolare del Tesoro che tramite la Cdp ha in serbo di costruire una holding delle reti, anche dopo la recente operazione di Snam. E si può ovviamente dubitare delle scelte future della Fondo strategico della Cdp che assume quote in imprese ritenute strategiche a livello nazionale. E magari ambienti del private equity possono mugugnare delle scelte del Fondo di investimenti della Cdp in aziende innovative.

Tutto lecito, tutto comprensibile. Senza le leve della Cdp l’Italia di sicuro sarebbe più liberale, ma forse sarebbe anche meno capace di garantire investimenti, ammodernamenti, innovazione e liquidità alle imprese private.