De Geronzi. È in arrivo il libro-intervista di Massimo Mucchetti a Cesare Geronzi. Mucchetti è una della più brillanti firme dell’informazione economica italiana; Geronzi è un monumento. Sì, un monumento al potere, al potere reale, quello che si è formato in decenni con l’intreccio fra la finanza e i politici, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti nei loro effetti devastanti: un Paese che ha sistematicamente negato il merito preferendogli il padrinaggio; che ha emarginato il business per far spazio alle amicizie, alle relazioni; un Paese a capitalismo arcaico al quale rimane saldamente legato in una simbiosi antistorica, in un abbraccio che ha portato alla decadenza che stiamo vivendo. Di questo viaggio non virtuoso, Geronzi è stato uno dei massimi protagonisti; nei titoli di testa di un film avrebbe sicuramente le prime posizioni. È stato presente ovunque si siano fatte cose che poi sono costate care e comunque avrebbero potuto essere fatte meglio da chiunque altro: da quando era alla Cassa di Roma e avviò la prima grande concentrazione bancaria italiana dando vita a Capitalia della quale divenne naturalmente il dominus, a quando passò a guidare Mediobanca fino al passaggio alla più alta poltrona della Generali, che fu poi, inaspettatamente costretto a lasciare dagli azionisti. I suoi rapporti con Cuccia, con i vari governatori di Bankitalia da Fazio a Draghi, quelli con i signori del salotto buono, gli amici politici: tutti questi temi, naturalmente, sono affrontati nel libro con la perizia di una giornalista, Mucchetti appunto, che ha la memoria storica e sa di che cosa parla.



L’unica domanda è: perché Geronzi ha scelto proprio lui per questo amarcord finanziario che si aspetta non privo di rilevazioni e indicazioni, sia per quello che dirà sia anche per quanto verrà sottaciuto. Mucchetti, è noto a tutti, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, è stimatissimo dall’altro grande “arzillo vecchietto della finanza italiana” (definizione di Diego Della Valle) al quale è legato da un’amicizia personale, cioè Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa, e anche lui pilastro della storia economica italiana. È interessante che l’intervista a Geronzi sia stata affidata al giornalista che ottimamente avrebbe potuto raccogliere le memorie di Bazoli.



Salvato il soldato Nagel. Sempre restando in materia di alta finanza, va registrato che Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, è uscito indenne dalle forche caudine davanti alle quali molti dei suoi azionisti lo stavano aspettando. Venerdì scorso ha presentato i risultati del primo trimestre dell’esercizio 2012-2013: non sono entusiasmanti, ma, considerato l’andazzo complessivo e l’aria di crisi sempre più pesante, sono accettabili. I ricavi hanno subìto una flessione del 5% sullo stesso trimestre dell’anno scorso, ma hanno tenuto rispetto al trimestre precedente; l’utile netto è quasi raddoppiato sempre rispetto al trimestre precedente. Queste cifre hanno chiuso la bocca anche agli azionisti più scettici andati alla riunione in piazzetta Cuccia con una gran voglia di menare le mani a scapito proprio di Nagel. La sua poltrona dunque è salva. Per ora.



Ha rischiato molto per essersi messo in alcune situazioni decisamente sgradevoli e sgradite agli azionisti. Prima fra tutte quella relativa al passaggio del gruppo Fonsai dalla famiglia Ligresti al gruppo Unipol. Mediobanca era troppo esposta storicamente nei confronti del costruttore siciliano e doveva assolutamente evitarne il fallimento (si è andati a un passo) per non essere trascinata essa stessa nella rovinosa caduta che ne sarebbe seguita. L’operazione è andata in porto, ma con costi molto alti. Non solo per le finanze, ma per l’immagine stessa di Mediobanca. Che con quella vicenda, e la sua componente giudiziaria, ha reso ufficiale una verità già nota a tutti: piazzetta Cucia non è più il cervello, il centro nevralgico attorno al quale ruota tutto il potere finanziario italiano. Ora è semplicemente una banca d’affari come qualsiasi altra. I suoi amministratori devono dimenticare i sogni di gloria e lasciar perdere i giochi di potere finanziario cari ai loro predecessori. Molto prosaicamente devono concentrarsi sul business e cercare di far quadrare i conti. Se no per loro in qualunque momento la porta è aperta. In uscita.

Misteriosa Imu. Ci si sta rapidamente avvicinando alla scadenza e i contribuenti italiani proprietari di una casa (la maggioranza della popolazione) non sanno neanche quanto dovranno pagare per l’ultima rata dell’Imu. Pare il ritardo sia imputabile a complessi calcoli che non sono ancora stati fatti o a insondabili motivazioni politiche. Fatto sta che il dato non c’è ed è francamente un assurdo. Come è possibile pretendere che un’azienda (perché tale è una famiglia quando deve fare i conti) possa chiudere il bilancio senza sapere a quanto ammonterà questa voce di spesa? I consumi sono drammaticamente in calo perché il Paese negli ultimi tre anni si è impoverito, non c’è dubbio. Ma creare incertezza nella pianificazione finanziaria delle famiglie non fa che aggravare il problema. Il governo Monti ha fatto e sta facendo ottime cose per il Paese: dovrebbe prendere rapidamente una decisione anche su questo punto.

 

Le Americhe di Sergio. Sono stati da poco resi noti gli ultimi dati sulle performance del gruppo Fiat in Nord e Sud America. In Usa, con la Chrysler che erode quote di mercato ai concorrenti, è previsto di chiudere il 2012 con un utile operativo in crescita. Così come hanno un vistoso segno più le vendite del gruppo in Brasile: nei primi nove mesi dell’anno +11,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Meglio di qualunque concorrente. Sergio Marchionne sarà un po’ brutale. Però quando dice che in Italia, nelle attuali condizioni, è impossibile produrre forse non ha tutti i torti.

 

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