Troppo rigore per nulla rischia di uccidere la crescita. Se mai la crescita dovesse esserci. Potremmo sintetizzare così il succo del monito che il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, ha lanciato durante un’audizione alla Camera sull’aggiornamento dei dati contenuti nel Def 2012, il Documento di economia e finanza. Le sue parole sono state pesanti: c’è un “pericolo di un cortocircuito rigore-crescita”; inoltre, il pareggio di bilancio 2013 “rischia di poggiare su un equilibrio precario”; infine, austerità e rigore possono rivelarsi “alla prova dei fatti una terapia molto costosa e in parte inefficace”, una cura che “neppure offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie”. Alla luce di queste significative considerazioni, ilsussidiario.net ha chiesto un commento a Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
In vista del calo del 2,4% del Pil previsto per quest’anno nel Def, come giudica la linea di rigore perseguita del governo Monti?
Penso che sia una strategia che punta implicitamente sul fatto che la ripresa debba dipendere più dall’export che non dalla domanda interna. Perché esagerare con il rigore significa tramortire la domanda interna, che con una politica così di certo non si riprende. E poi faccio notare che il pareggio di bilancio cui l’esecutivo mira è un pareggio al netto del ciclo economico e che quindi, di fatto, non ci sarebbe se noi tenessimo conto della recessione. In definitiva, sembra quasi che i tecnici non vogliano prendersi la responsabilità degli effetti che manovre troppo recessive possono avere, ossia quelli di ridurre il Pil e aumentare conseguentemente il rapporto deficit/Pil.
C’erano alternative?
Dal mio punto di vista si sarebbe potuto negoziare un ritardo nel raggiungimento dell’obiettivo del pareggio deficit/Pil, al fine di rilanciare il Paese, un po’ come ha fatto la Spagna. L’idea che il governo persegue invece è: “Se noi saremo rigorosi, i mercati ci premieranno”. Ma in questo momento non è che ci sia un premio così eccezionale. Senz’altro abbiamo un differenziale positivo rispetto ai tassi spagnoli, ma nemmeno enorme. Il problema dell’Italia è il solito: ha pochissimi gradi di libertà, dato non può intervenire né sui tassi di cambio, né con una politica monetaria autonoma; può solo chiedere all’Europa di allentare il raggiungimento dell’obiettivo sul deficit.
Il ministro dell’economia Grilli ha detto però che crescita e rigore sono compatibili. Cosa ne pensa?
Bisogna dimostrarlo nei fatti. Finora non sono stati compatibili. Abbiamo visto solo il rigore senza la crescita. Ma è il governo che ha l’onere della prova. Aspettiamo tutti di vedere come possano essere compatibili.
Cosa suggerisce a questo punto?
C’è da ragionare di più sulla politica generale dell’Unione europea che certe volte è un po’ miope, come nel caso della Grecia. L’Ue, alla fine, a furia di chiedere immediatamente il rientro sul deficit al debitore, rischia di distrugge anche il creditore, che non avrà indietro i suoi soldi. È una politica autolesionista. Probabilmente converrebbe dare un po’ più di respiro ai paesi in difficoltà.
Il Def dice anche che nei primi sei mesi dell’anno le spese delle famiglie si sono contratte del 4%. Cosa ne pensa?
Questo lo vediamo tutti i giorni. Questa politica di rigore sta riducendo la ricchezza delle famiglie che devono contrarre i propri consumi o intaccare i propri risparmi per mantenere i consumi ai livelli cui sono abituati. Quello che è certo è che la domanda interna non dà segnali di ripresa e questo non aiuta la crescita economica.
Anche il Pil nominale non cresce più. La stima per fine anno è di una diminuzione dell’1%. Era già successo nel 2009, l’anno centrale della crisi.
Questo è un problema grosso, perché se il Pil crescesse anche solo nominalmente ma non realmente perlomeno avremmo un effetto benefico sul rapporto deficit/Pil. Come è noto, l’inflazione riduce il problema del debito perché fa crescere il Pil nominale: anche se l’inflazione è una perdita per i cittadini, alla fine finisce per migliorare le condizioni sul debito. Proprio come è successo alla fine della Seconda guerra mondiale quando avevamo un debito simile a quello attuale e una fiammata di inflazione spinse in alto il Pil che fece crollare il rapporto al 30/40%. Noi invece stiamo vivendo il peggiore dei mali: la recessione più il calo del Pil nominale, che non aiuta a ridurre il debito, dato che il debito è anch’esso calcolato in termini nominali.
E per il 2013 sono previste anche minori entrate complessive per oltre 21 miliardi. Sembra assurdo: questo governo “casca” proprio sulle tasse…
Se il Pil si riduce anche le entrate fiscali si riducono. I conti tornano se si considera che 2 punti di Pil corrispondono a 35 miliardi, un ammontare su cui, in questo caso non si possono raccogliere tasse. Quindi è normale che ci sia una flessione in questo senso, nonostante lo stato stia recuperando risorse dalla lotta all’evasione.
Che fare dunque?
Il governo deve cercare di rilanciare la crescita. Purtroppo per anni questo è stato fatto attraverso svalutazioni, aumenti del debito pubblico e con basso costo del lavoro in un’economia pre-globale. Adesso tutti e tre questi fattori remano contro. Dovrebbe pertanto aggredire quei fattori che ci vedono in grave ritardo rispetto ad altri paesi. Ma sarà difficile raggiungere in breve le eccellenze di paesi come la Germania in campi come le infrastrutture, l’innovazione tecnologica, la ricerca, l’istruzione, l’efficienza della burocrazia e della giustizia. Bisogna quindi avere fantasia e allargare il campo di gioco.
Lei ha suggerimenti su cosa occorre fare?
L’Unione europea dovrebbe ragionare sulle regole di commercio e finanza. E penso anche alla possibilità di politiche comunitarie più espansive. Ma, purtroppo, si tratta di cose che dipendono solo in parte da noi. Qualcosa tuttavia potremmo fare. Come nel caso della riforma dei mercati finanziari. La Germania ha preso l’iniziativa per tassare le transazioni finanziarie: vuole ottenere una cooperazione rafforzata tra 9; in 5 hanno aderito e l’Italia sta nicchiando. Mentre studi europei dimostrano che dei 57 miliardi di euro di gettito, 6 andrebbero solo all’Italia. Una misura che oltretutto avrebbe anche l’effetto di riorientare la finanza al servizio dell’economia reale e non al cammino verso la speculazione. Quando ci sono le occasioni da cogliere bisogna farlo. E questa lo è.
(Matteo Rigamonti)